Grani antichi

Non mi piace mangiare troppo proteico e se proteico è appropriato per bere del vino, rinuncio al vino. Per questo non vado a mangiare qui  molto spesso, anzi quasi mai.

Ho messo più di un piede dans le trip vegan, sans gluten blablabla, ma non ho ancora ben capito cosa sia per me kosher. Sono i lieviti a farmi male o i veleni della chimica assorbiti dal grano ad uccidermi lentamente? Cosa è meglio evitare — il superglutine del grano nanizzato, o il glutine tout court?

Un aspetto consolante delle moderne intolleranze alimentari è che non deleghi, cucini tu. Così incontri i grani antichi. Piante più alte rispetto ai fenotipi selezionati per la grande industria, più soggette al vento ma meno alle infestanti, con rese decisamente più basse, il frutto si conserva meglio, i semi non sono sotto schiavitù da brevetto.

In rete c’è più di quel che basta sull’argomento. Metterò qui due rimandi, a un produttore e a un artigiano, conosciuto un anno e mezzo fa.

Ricetta

Quando c’è vendemmia, vado in campagna il meno possibile. Il sunto sembra essere: magrini i bianchi, magrino il dolcetto, la barbera buona qua meno buona là, il nebbiolo forse si salva, se questi ultimi giorni sono clementi. La vendemmia grassa l’hanno fatta le industrie farmaceutiche, il doppio dei trattamenti.

Il vero affare quest’anno era nelle nocciole, apprezzatesi del 150% in due anni, altro che titoli di Stato, per via di una gelata turca e una Ferrero che sta nel mercato globale come il giusto nella terra di Canaan.

Un piantino di nocciolo dal vivaio va oggi a 5,00 euri, mi ha detto un uomo il cui fratello era a conoscenza della ricetta della Nutella, scesa pur troppo nella tomba insieme a lui.

L’uomo ha aggiunto quanto la Ferrero arriva a pagare un quintale di tonda gentile di Langa sgusciata, pelata etc. Dividendo l’importo per 400 grammi, si rimane dubitosi di quante nocciole siano presenti in un medio barattolo di Nutella, e certi del profondo mistero della sua preparazione.

Tajarin

Di dicembre rimarrà il metodico scuoiamento — saldo dell’immondizia, acconto ires e irap al 102,50% (cosa sarà mai il saldo, nella spudorata neolingua?), deducibilità al 20% dei costi di trasporto (preparare Opinione Pubblica, di seguito OP, con articoli su invecchiamento parco macchine. Accogliere Gruppi di Pressione, di seguito GP, con emendamento acquisto OBBLIGATORIO nuova auto aziendale), acconto iva.

Fatti un giorno spiegare l’esoterico funzionamento di una nota spese italica, pranzo di lavoro in comune esterno, con tua quota detraibile all’x% e quota degli ospiti detraibile all'(x-y)% in cinque anni, per portare ai livelli di remunerazione del conto corrente la tua residua speranza che le cose si possano riprendere. Altro che cacciavite. Altro che caterpillar.

E in mezzo l’insostenibile gioia per la nascita del Bambino. Tu ci schianti tra realtà e vangelo.

Di dicembre rimarranno due parole col Corsaro, che mi invita ad alzare gli occhi al cielo, come Geminello Alvi. E l’incontro che ebbi con Mauro Musso ad Alba.

E’ Mauro artigiano dei tajarin e gourmand di nuova generazione, quello che arriva al gusto nella sua ricerca dei rimedi, espertissimo di quanto ci sia bio.

Per i suoi tajarin, farine di Marino — quelle di Sobrino andrebbero altrettanto bene ma la macina è meno fine e inchioda la macchina della pasta. Imparo che per la farina l’industria toglie del seme la pellicola esterna e il cuore interno, la crusca e il germe, lasciando solo l’endosperma.

E’ il tipo che va a farsi fare il pane con le sue farine a Calcinere, per incorporarne acqua e aria, 70 chili alla volta da scongelare via via. Beve solo caffè Blue Mountain giamaicano, in grani, si macina ogni volta la dose che serve.

Inquadramento storico della pasta all’uovo: nella civiltà contadina veniva fatta quattro o cinque volte l’anno a celebrare matrimoni e battesimi. Il ragù di carne accompagnava anche lui la mancanza di calcolo della festa.

Pranzo a casa sua, prepara lui. Tajarin di farro monococco con burro e salvia e tajarin della tradizione con ragù di carne, croccanti come una pasta di Gragnano. Portavo con me una bottiglia di dolcetto di Cascina Corte, ma lui preferì accompagnare con un bianco a lunga macerazione, il Muntà di Andrea Tirelli, così che lo scoprii.

Novembre Maumèt

Cosa mi rimane di questo novembre?

Il prezzo del vino all’ingrosso aumenta. Anche del 30%. Ce n’è meno e c’è domanda. Parlo di vino a buon mercato, che si sposta in autobotti e si valuta al grado alcolico. Chi lo domanda? Vai a vedere il valore unitario delle esportazioni in Germania e in Russia, lì ne troverai, per esempio. Come mai ce n’è meno? Ragioni di breve periodo, annata scarsa, e ragioni di lungo, costo del lavoro agricolo senza rapporto col valore del prodotto, mancanza di ricambio tra generazioni. Dietro a tutto, dirigismo e sovvenzioni, all’estirpo e alla vendemmia verde.

Avevo fatto finta di niente col punto di imposta sul valore aggiunto, adesso mi tocca aumentare i prezzi. Ma non riuscirò a farlo con la stessa velocità con cui le lunghe unghie dello stato canaglia scavano il tenero tufo del mio profitto. Le accise sul gasolio, gli altri punti di iva che arrivano, l’inps normalizzato, le altre imposte dei piccoli e medi leviatani sussidiari, ce li rimetterò del mio. Fin che ce n’è.

Animo, non durerà a lungo. Il mio e anche il loro.

Mi rimane da riflettere sulla messinscena agricola, sulla fesseria del tipico. Sui due soli che in tutto il mercato di corso Racconigi vendono del proprio, i due che non vanno alle due di notte ai mercati generali. Sull’azienda agricola che a Romano serve da vetrina, tre andicappati che ci lavorano, quattro macchine da 40.000 euri ciascuna, il gasolio, l’autostrada, il camion, e tutto questo per vendere il vino a un euro al litro? Quando posso fare un contratto con una cantina sociale per 0,50?

Scusa, ma quanto dà allora la cantina sociale al suo conferitore? Niente gli dà, o ben che vada 0,30. Ah, adesso capisco perché ce n’è poco.

Mi rimane un’espressione che ho sentito in Monferrato per dire ho avuto una fifa boia. L’ai vist maumèt.

Mi rimane la visione del mio agricolo preferito a Venezia, che chiede a questo e quello di che pianta sono quei pali che affiorano e nessuno che lo sa e sua convinzione che siano gaggìe. Suo interesse per l’orologio dei Mori e suo respingimento perché non ha prenotato la visita via internet. Scusi neh, ma lei sta parlando con uno che non ha neanche il cellulare.

Fragole e mirtilli

Al Laboratorio di Resistenza Dociaria di Alba ho comprato una confettura extra di fragole che era come la madeleine di Proust. Era fatta dalla Cooperativa Agricola Terranova di Luserna San Giovanni.

Niente su internet, buon segno, mi metto in strada. Trovo il posto a naso. Un uomo mi aspetta sul cancello. Come mai non c’è indicazione, neanche un cartello? L’uomo alza le mani, abbassa la testa e dice va bene così. L’uomo si chiama Giampiero Spadotto.

Parliamo, è il buon incontro.

La cooperativa ha più di trent’anni alle spalle. Figli del ’68. Ci fu allora un certo movimento verso la campagna, il progetto di vivere di poco ma stare senza padroni. Si arrivò a 25 cooperative agricole in Piemonte. Tentativi di consorziarsi. Contabilità in comune. Naufragio per eccesso di riunioni. Poi il mercato e i fallimenti. Valli Unite ha realizzato il progetto d’origine. Terranova? In parte. La vita un bivio dopo l’altro ti trovi che sei senza alternative. Oggi sono un topo di laboratorio. Indica dove si trasforma.

Dodici soci conferitori. Uno dei soci da giugno a settembre va in montagna a raccogliere i mirtilli selvatici. I ramassin molto buoni. Da quest’anno si usano le castagne del posto invece delle garessine.

Inizi molto duri. Molta fatica per remunerarsi 6000 lire l’ora. Quando ci siamo assestati, c’è stata la crisi del ’92. Improvvisamente le vendite calano dell’80%. Sugli scaffali appaiono marmellate confezionate come le nostre ma fatte con la pectina. La pectina contiene dei residui chimici della lavorazione, inoltre ti permette di fare molto più prodotto. Le marmellate tradizionali perdono acqua, con la pectina aggiungi acqua.

La marmellata industriale si fa in boule, che funziona al contrario di una pentola a pressione. Noi facciamo con le stesse pentole di rame a cielo aperto con cui abbiamo iniziato, da 25 chili ciascuna. Sono due. Farebbe differenza se fossero in inox? Nno, però queste sono più difficili da tenere pulite, così siamo costretti ad attenerci maggiormente alle procedure, questo è un bene. Il risultato è un prodotto che più che artigianale, definirei casalingo. Come quello che faceva tua mamma e tua nonna. Stai nella languida catena delle generazioni.

Il laboratorio è pulitissimo. Nell’aria l’odore delle castagne sciroppate. Giampiero non ha intenzione di crescere come attività, fare investimenti in attrezzature. Se fosse la tua vita, lo capirei. Ma quando la tua passione è altrove? Ti passa, la voglia.

Non voglio dire qual è l’altrove di Giampiero Spadotto.

Andiamo in paese. Per strada mi fa segno alle due chiese che si guardano, una valdese e l’altra cattolica. Pranziamo in vera osteria, con vino cattivo come si conviene. Un vecchio mangia da solo al tavolo accanto. Nel pomeriggio parte per Vasto. Va dal figlio, arriva anche la figlia da Londra per le vacanze di Pasqua. Ci racconta la sua storia, una storia di emigrazione e integrazione. La storia comincia così: Mi sun ‘d Benevent.

Frizzante rifermentato in bottiglia

donati Come può capitare ai convinti, Camillo Donati non è un campione di simpatia. Sarà stata la nostra ignoranza a maldisporlo o la sua rassomiglianza con l’attuale presidente del consiglio a maldisporre me, l’incontro è cominciato disassato, come un vino frizzante aperto troppo presto. La cosa è migliorata via via, perché insomma ci sono aspetti di Camillo Donati che si fanno apprezzare.

Per esempio non ha un sito internet. Né distributori. La comunicazione avviene perciò di persona e nel successivo passaparola. Noi arriviamo lì su suggerimento di Francesco Brezza, agricolo del nascondimento biodinamico.

Camillo Donati fa vini frizzanti rifermentati in bottiglia. Come mai? chiediamo ingenui. Si spazientisce. Uomini, avete capito dove siete? Nella patria di salumi e parmigiano. Ci va qualcosa che sgrassa per bene. Qui l’espressione del territorio è il vino frizzante, sono secoli che lo facciamo così.

Oggi lo fanno col metodo Charmat, in autoclave. E allora lo porti prima ad alte temperature, poi sotto zero, poi aggiungi lieviti e fermenti, poi lo filtri così e lo filtri cosà, finché non viene fuori proprio come vuoi te. Controlli tutto.

Io invece non controllo niente. Non tolgo e non aggiungo, uso solo i lieviti delle bucce. Persino Loris Follador, col suo sur lie, uno dei pochi prosecchi bevibili, filtra prima di andare in bottiglia. Io sono più estremo ancora, niente filtratura, niente di niente. Così ogni anno è un vino diverso. Sono vini adatti a un certo invecchiamento, contrariamente a quanto si crede. Due mesi dopo l’imbottigliamento sono ancora nervosi, scorbutici, scomposti. Meglio dopo un anno, o dopo due.

Camillo Donati è un frequentatore di Vini Veri. Tra Angiolino Maule e Gravner si sente più vicino al primo. Il secondo fa delle macerazioni molto lunghe con dei risultati sorprendenti sull’ossidazione, ma lui come Maule cerca la mineralità. Quindi macerazioni in rosso dei bianchi, ma non superiori ai quattro cinque giorni.

Salami d’anatra

brescianoEdoardo Bresciano ha la passione terrena. Gli viene a 12 anni, quando si mette ad allevare conigli nella cantina della casa di Torino. A 17 anni comunica a suo padre che vuole mollare gli studi di agraria e fare il contadino, come il trisnonno. La casa paterna, in affitto da due generazioni, si era liberata, Edoardo si trasferisce a Savigliano.

Alleva conigli per dieci anni. Poi in una settimana muoiono tutti, seimila conigli. Farmaceutica dosata male nel mangime. Da allora il conflitto industria-contadino è uno schema che orienta le scelte e i ragionamenti. Questa storia è raccontata nei dettagli da Lorenzo Cairoli.

Riprende ad allevare, oche prima e poi anatre moulard. Col letame delle anatre fertilizza i cereali e l’erba medica di cui si nutrono, così chiude il ciclo. Controlla cosa entra – niente mais, che ha una storia troppo manipolata, meglio l’orzo, frugale ma sicuro – e cosa esce. Né salariati né avventizi, fa da sé. Per macellare deve andare al Boglietto, vicino a Costigliole, un giorno per portare le anatre e il giorno dopo per prendere la carne, 300 chilometri. Adesso vuole allestire un macello più vicino, a casa sua, e macellare lui. Gli insegnò la sua tata, pugliese ed evangelica, a tagliare la giugulare con gesto secco e indolore. Oggi le leggi esigono un preliminare intontimento con scarica elettrica, come rituale di civile e tecnico rispetto per la sacra vita dell’animale.

Le anatre vanno e vengono tra il riparo e l’aperto. Esce della carne soda e magra che insaccata con pancetta di maiale e spezie fa dei salami gustosissimi. Il petto viene affumicato a parte, si affetta come un salmone ed è una vera gourmandise.

Passioni terrene è il titolo del libro che raggruppa i Sovversivi del Gusto, un’associazione di piccoli produttori con il senso del terroir, l’ambizione di un marchio di garanzia e una filosofia ancora in gestazione, ma basata sul sospetto verso la grande distribuzione. La prima volta che ho incontrato Edoardo Bresciano, abbiamo trovato terreno comune nel giudizio sul supermercato del Partito Democratico.

Mi piace Edoardo Bresciano perché è contadino elegante e persona tagliente. E’ una giornata di nebbia e gli chiedo se ama questo orizzonte. Sì, amo questa pianura, l’agricoltura si fa in pianura. Delle Langhe amo la val Bormida, a Monforte e Barolo trovo solo culi pallidi, gente che sta bene. Mentre io sto ancora finendo di pagare i conigli…

Vino fatto di nulla

cquarelloC’è qualcuno che si reinventa vignaiolo sulle ceneri della propria storia, ma molti vini accompagnano l’evoluzione di una famiglia e devono più di qualcosa al legame di un padre e un figlio. Se conosci  Valerio Quarello senza conoscere suo padre Carlo, non cogli un aspetto del loro grignolino e barbera, un carattere affabulatorio portato alla divagazione.

Eppure Carlo pota preciso, nove gemme per pianta. Siamo così piccoli da essere invisibili e ogni anno sono sorpreso che qualche guida di Slow Food si ricordi di noi. Fino all’84 vendevo le uve, poi ho deciso che potevo provarci per conto mio. Qui a Cossombrato fino agli anni ’60, alla grande migrazione a Torino per la Fiat, era tutto a vigneto. Oggi fanno agricoltura da sussidi, su pendii mica tanto ragionevoli per il grano, la soia o l’erba medica – e adesso per le erbe officinali.

Un chilo di uva grignolino sta a meno di un euro, la metà per uve barbera. Allora che ci sia del vino che si vende a 80 centesimi mi rende perplesso. Una prima ipotesi è che sia vino invenduto, una seconda che sia vino torchiato. Una generazione addietro c’era l’idea di torchiare fino a quando le bucce fossero bianche. Spremi ancora un po’ di colore, aggiungi zucchero, aggiungi alcol. Se l’etilico ha le tasse alte, aggiungi il metilico, quello che usiamo per disinfettare. Ti va male proprio solo se sbagli le dosi, e quel medico del Niguarda considera che quei venti affetti da cecità del suo reparto hanno una cosa in comune, l’alcolismo. Commercianti che hanno fatto fortune con questo sistema e in Val d’Aosta poi, che sarebbe più popolosa oggi se non avessero fatto tanto consumo di torchiato trent’anni fa. Vino fatto di nulla, quando va bene.

E poi c’è il vino di carta, un effetto del sistema dei doc. Fino alla resa del disciplinare costa 2x, oltre diventa vino da tavola e costa x. Che seria contabilità eh? Il sistema dei doc alla fine non ti garantisce nulla, forse solo una provenienza territoriale, ma meglio non indagare troppo…