Costruttivismo

Finito il dolcetto di Dogliani, chiesto a Barosi se mi suggeriva qualcuno. Prova a vedere dalla Nicoletta Bocca. Sfuso? Non è neanche scesa dal balcone per dirmi di no. Mi sono reso conto meglio del contesto quando ho avuto un breve colloquio con Anna Maria Abbona.

Anche lei mi dice di no. Parliamo della nuova denominazione Dogliani. Lei insieme alla Bocca, Pecchenino, Marziano Abbona, Barosi no solo perché non c’era ancora, è stata uno dei sostenitori della nuova docg, dal ’97 che lottano. Scopo: valorizzazione del territorio. Modello: Barolo. Altrimenti: chiusura delle aziende agricole.

Sono due anni che c’è. Ha funzionato? No, tanto è vero che sta per passare una nuova stesura della denominazione, secondo la proporzione

dolcetto di Dogliani : Dogliani = Dogliani : Dogliani Superiore.

Riflessione teorica. Si può essere biologici e avere una idea costruttivista e non ecologica del mercato. Il costruttivismo è molto più importante nel generare variazioni – innovazioni sociali ed economiche – che nel selezionare quelle che sopravvivranno (Vernon Smith).

Riflessione organolettica (non mettere mano alla pistola, l’uso della parola è qui strettamente ironico. L’indigestione di organolettico te la farai fra qualche giorno, quando apre il Salone del Gusto). Proprio quando il mercato regredisce a forme meno concentrate e riscopre perfino l’abboccato, ce la dobbiamo prendere coi superi dei rendimenti, forzando verso un dolcettone da almeno 14 gradi?

Riflessione politica. Le doc dop docg sono macchine da divieti che alimentano il giustizialismo agrario. Stiano prudenti gli apprendisti stregoni — quei di Bra, l’ex ministro agricolo, i consorzi di tutela — un paese con 10.000 formaggi disciplinati non è solo impossibile da governare, è l’ambiente dove la lapidazione dell’indisciplinato sarà endemica.

Bianco d’uomo

Mese bianco di neve tarda, deserto, tedio e attesa escatologica.

A Fabiani ho chiesto se vende più bottiglie, adesso che ha le fascette. Mi ha detto che prima dell’euro pagava gli avventizi settemila lire, oggi 11-12 euri. Fai presto a non avere i conti in ordine, bastano dieci anni così.

Se n’è andata la zia di Giovanni.

Cavagnero è oggi il direttore di Brandini. Le bottiglie da lui dirette stanno sugli scaffali degli autogrill MyChef, insieme a Borgogno e le altre cantine di Farinetti. Bravo Carlo, lo intuivo che avevi una percezione esatta dei rapporti di forza.

Ho avuto tra le mani il decimillesimo bottiglione di Eataly, che festa. Ogni volta leggo l’etichetta, per puntiglio, e penso a cosa diceva Mencken — nessuno è mai fallito per avere sottovalutato l’intelligenza del pubblico.

Stato a Fumane in Valpolicella per l’amarone di David Sterza, vignaiolo ecocompatibile. Chiedo come sarà tra dieci anni. Proprio qui dove sei seduto passerà una tangenziale. Io speriamo che sono a Cuba.

scarponi_mo_fangodelai_neve_01Le scarpe di Ivano Mo asciugano a un sole mesto.

 

Da Delai con un tempo infame.

 

 

 

 

 

 

Bricco di Neive

Di nuovo a rompervi la testa che in campagna le cose non vanno. C’è la fuga. Vedi, in questa valle 30 anni fa eravamo 11 famiglie a vivere di agricoltura. Oggi siamo rimasti solo noi. Così i Gamba.

E ci sono i prezzi. Dodici anni fa abbiamo piantato dei pioppi. Valevano allora 7000 lire al quintale. Oggi a tagliarli prendiamo 50 centesimi. Grazie lo stesso, magari li usiamo a scaldarci, qui l’inverno è lungo. Se sono in piano, passa una macchina e forse ricavi quattro euri. Ma se sono in pendenza, mettere un uomo a tagliare? Uh per carità, costa troppo.

Vuoi provare coi cereali? Brezza dopo trentacinque anni, quest’anno smette di piantare il grano. Valeva 35000 lire al quintale quando c’era mio papà negli anni ’90, oggi 13 euri. Pianterò orzo, lo userò per autoconsumo, come mangime alle vacche.

rivetti_spesPer la teoria classica, c’è un eccesso di offerta. Anche secondo Massimo Rivetti, c’è semplicemente troppo vino. Questo vale a livello globale, persino in Cile, Sudafrica e Australia hanno smesso di piantare barbatelle. E qui da noi succede che Fontanafredda faccia le scarpe al ribasso a Terre del Barolo nelle gare internazionali.

Massimo sta in zona di pregio, è un vignaiolo molto tecnico, con un’agenda che lo porta in Giappone, negli Stati Uniti, a Dusserdolf, a Montpellier. Partendo dall’azienda di famiglia, negli anni ha messo su 20 ettari tutti accorpati al Bricco di Neive. Il figlio è alla scuola enologica di Alba.

Quindici anni fa mi bastava portare i registri del vino in banca per avere un mutuo. Adesso hanno talmente tanta terra a garanzia le banche, che se vuoi un mutuo devi metterci la casa. Mi mostra la collina di fronte. Vedi, da laggiù alla stradina è di x, ipotecata. Dalla stradina al ciabot è di y, ipotecata. Dal ciabot al crinale è di z, ipotecata. Il resto è mio di me, ipotecato. Un trattore nuovo diventa un incubo.

Massimo tiene duro, non svende. Però lo sveglia di notte il dubbio che stavolta non è il ciclo, che la notte è lunga e il buio fitto. Per intanto i redattori di guide continuano ad assaggiare 80 vini al giorno, la Regione pensa che ci sia un problema di comunicazione e mette su il museo del vino, i Consorzi dicono ah, le fascette sono andate via tutte. Certo, dice Massimo, se ti apro quel cassetto là, è pieno di fascette, mica vuole dire che il mercato se le compra.

Novembre pecorino

asciuganoPrimi di novembre, appuntamento con il vino novello in damigiana. Lo fa Giorgio Ferrero a Pino d’Asti da uve freisa. Quest’anno, a evitare la burocrazia del titolo novello, è un vino da tavola. Ma la sostanza — parola chiave 2009/2010 — è sempre quella. Vinificato a macerazione carbonica per esaltare i profumi primari e il colore profondo e brillante. Niente trucchi, niente tagli. Beaujolais, Freisolay.

Giorgio lo fa da vent’anni, ha provato tutte le varianti. Macerazione carbonica vuol dire rovesciare le cassette di uva in un contenitore d’acciaio, saturarlo di anidride carbonica e sigillarlo. Normalmente sta così 10 giorni, Giorgio lo lascia qualche giorno in più. Dentro, qualche acino si rompe e il succo comincia a fermentare creando altra CO2, qualche acino rimane integro e quando lo tiri fuori è gonfio e croccante. Dopo questo periodo, si toglie la massa d’uva e mosto dalla vasca e si pigia normalmente. Molti tolgono presto dalle bucce, Giorgio lascia ancora tre giorni. Quest’anno il suo novello fa 14 gradi.

Gli chiedo chi ha inventato la macerazione carbonica. Boh, sicuramente è nato per caso, qualche francese ha lasciato dell’uva in tino sigillato e poi ha cominciato a ragionare. Giorgio Ferrero è impegnato col PD, pensa che la colpa sia delle banche e la soluzione sia una patrimoniale.

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Edoardo Bresciano è stato tentato dal sindacalismo agricolo, poi considerando con più attenzione il tipo di agricoltore della provincia di Cuneo, ha pensato che meglio fosse farsi gli affari propri, tirare su qualcosa di bello nel suo orto a Savigliano. Ha letto due volte il Dilemma dell’Onnivoro, si è innamorato anche lui di Joel Salatin e ha adottato in modo personale il suo metodo di recinti mobili per pascolare le oche. Ha comprato dei riproduttori e un’incubatrice, vuole crescere i propri animali, sono più grossi e più belli.

Edoardo legge Steiner. Per essere certificato biodinamico dovrebbe frequentare un ciclo di diciannove incontri di tre giorni ciascuno. Ma io lavoro in campagna, come fanno a pensare che possa partecipare a una cosa organizzata così.

Mi piace molto il percorso di Edoardo e per accompagnarlo voglio vendere almeno un quintale di salami d’anatra del Corsaro e di cotechini d’oca, che non ci sono a Eataly.

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A proposito di vini per caso. Sergio Delai aveva in mente un passito dalle uve rosse che si coltivano sul Garda Bresciano, groppello marzemino barbera e sangiovese.

Appassisce a ventilazione forzata, fa una macerazione lunga e mette in barricche. Confida che l’alto grado alcolico blocchi da solo la fermentazione. Ma qualche volta il grado alto non basta. Il suo passito prosegue la fermentazione, consumando più zuccheri. Ottiene un vino inclassificabile, un piccolo amarone spaesato. L’abbiamo chiamato Ron Ama Ron. In questo momento ho una carta dei vini che mi sembra di allenare il Real Madrid.

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Stato a Fornovo, fiera dei vini bio e naturali. Qualche edizione fa era una cosa frequentabile, oggi è una baraonda in cui scambiare due parole è un’impresa. Prezzi alti e solo bottiglie da tre quarti, mi sento un po’ fuori luogo.

Lacerti di discorsi. Il biondo di Ca’ de Noci mi fa assaggiare la sua Spergola rifermentata in bottiglia. La senti questa freschezza acuta, quasi dolorosa. Cambio banchetto.

C’è Pietro del Consorzio, che mi critica perché non mi è piaciuto il Cremant d’Alsace di Binner. E’ ossidato voluto, non bisogna avere tutti questi pregiudizi. M-m.

C’è Barosi, impressionato perché la folla non si divide equamente tra il banchetto del Pommard bio e il suo nebbiolo bio. Poco interesse per il Piemonte, dice. L’ultima volta che sono andato a prendere da lui del dolcetto, l’ottimo Pirochetta, mi ha aperto la cantina un rumeno, la porta di casa una peruviana, mi ha porto la fattura un’americana e sullo sfondo un’italiana faceva le pulizie. Manco in Chianti, ho pensato. Ci sono un mucchio di aziende bio toscane condotte da milanesi.

Mi è piaciuto il contadino di Monteforche, a Vo sui Colli Euganei. Mio nonno andava a prendere il vino a Vo, e oggi il fratello di mia mamma. Ricordo Vo come un posto del cavolo e gli ho chiesto cosa gli piace di Vo. Mi ha detto guarda che i Colli Euganei ti stregano. Non aveva biglietti da visita e neanche bottiglie da vendere. Appena posso vado a trovarlo, e penserò a mio nonno e a mia nonna.

Ma lo squarcio nella mia breve permanenza a Fornovo l’ho avuto pur io. Un uomo di 100 e passa chili pranza di fronte a me, troppo rude all’aspetto per essere un viticultore bio. Lo ritrovo fuori che fuma. Chiedo se è un visitatore. No, sono qui col pecorino. Pecorino da dove? Da Scanno, 100 chilometri a sud dell’Aquila. Terremotati? No, altra faglia. Sto a 1300 metri d’altezza tutto l’anno tranne l’estate. L’estate salgo a 2000. Tengo 1500 pecore, 40 vacche, 40 capre, maiali, conigli, e trenta cani. Trenta cani? Per tenere insieme le pecore? No, per difesa. Difesa da che? Dalle bestie selvagge. Lupi. Linci. Orsi. Anche le bestie selvagge sanno che l’uomo è l’animale più cattivo, e sanno che dove latra un cane, c’è un uomo.

Per tutto il viaggio di ritorno ho sognato l’Abruzzo.

Consorzi di Tutela

Col tempismo della dissenteria, i Consorzi di Tutela finalmente tutelano. Mentre il barolo sfuso quota la metà di un anno fa, si applicano gli stessi controlli del barolo su tutte le doc, su ogni bottiglia una fascetta stampata dal Poligrafico dello Stato e numerata dalle Camere di Commercio.

Le Regioni, questa caricatura di sussidiarietà, finalmente garantiscono. Hai coltivato 100 chili d’uva? Paga 40 centesimi al Consorzio. Dall’uva hai fatto il vino? Altri 40 centesimi. L’hai pure messo in bottiglia? 40 centesimi, prego. Trascurando i fax, i bonifici, i registri, i campioni d’analisi, i costi delle analisi, i costi delle fascette, i costi per mettere le fascette sulle bottiglie, e le multe siderali se qualcosa va storto.

La Regione Piemonte, quella che prima ha dato i soldi a Soria e poi si è dichiarata parte lesa, non avendo — unica tra le Regioni — neanche un’Indicazione Geografica Tipica, garantisce ancora di più. Un vino piemontese d’ora in poi avrà la fascetta o sarà un Vino da Tavola.

Cosa vuol dire tutto questo, amico e cliente? Vuol dire che faccio sempre più fatica a comprare un vino con la doc, e in carta troverai un mucchio di sigle e nomi di fantasia da decifrare.

Vuol dire che la burocrazia dello Stato Tecnico rinchiude in un CPT indifferenziato un sacco di vino buono, condannato a dichiararsi grignolino o barbera solamente in clandestinità, nella comunicazione orale tra te e me. Vuol dire che sugli scaffali del supermercato troverai un monte di vino mediocre in bottiglie fascettate, perché l’unica relazione ammessa tra te e il vino è l’acquisto di una bottiglia bordolese o di un brik.

Per questo ti dico, ancora c’è modo di esser libero, prendi la tua damigianetta e vai in campagna. Vai alla botte. E se sei pigro, vieni da me, la qualità senza nome è qui.

Dei Consorzi di Tutela ho parlato con alcuni agricoli, qui sotto ho immaginato un forum, come quelli della carta stampata.

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albugnanoBinello: Ormai tutto il vino che vendo in damigiana è vino da tavola. Ma nessuno mi ha mai detto — come faccio a essere sicuro che è grignolino? Così come nessuno, dico nessuno, mi ha mai chiesto cosa significa la fascetta sulle bottiglie di Nebbiolo, o come mai quella bottiglia non ha la fascetta, o mi ha detto voglio una bottiglia con la fascetta.

Claudio Rosso: Starò dentro il discorso dei Consorzi con un piede, perché i ristoranti vogliono Barbera d’Asti in etichetta, ma per il resto mi chiamo fuori. Persino il Cardin, il vino più importante dell’azienda, sarà un vino da tavola. Credo infatti nelle visite qui in cantina, nella degustazione diretta, nel rapporto con mediatori sensibili alla realtà del piccolo produttore, e in questo modo la doc diventa irrilevante.

Barosi: Non è che provi tutta sta simpatia per i Consorzi, ma inventatemelo voi un qualche sistema che impedisca che in una bottiglia con su scritto dolcetto ci sia dentro dell’altro. Sì, io penso che ci sarà in giro meno Dolcetto di Dogliani e quindi il prezzo aumenterà o comunque sarà per me più facile venderlo. Almeno fino a che non sarò il numero uno del dolcetto. Allora fonderò un consorzio perché basti scrivere in etichetta — vino da uva dolcetto senza gomma arabica, tartrati, citrico e altri trucchi di cantina.

Binello: Noi abbiamo assorbito i costi del Consorzio e delle fascette senza aumentare i prezzi. Coi tempi che corrono. Per la fascettatrice automatica abbiamo speso 3000 euri. Poi siccome la capsulatrice ogni tanto sbaglia la capsula, ci siamo ridotti a mettere le fascette a mano. Trovo assurdo comunque che ci sia un Consorzio per la Tutela dell’Albugnano: siamo in 9 produttori a farlo, non c’era nessun problema di eccessi di produzione o mercato parallelo.

Claudio Rosso: Per il Barbera d’Asti è diverso, siamo in mezzo a un mare di barbera, e solo la metà è a doc. Il presidente del Consorzio calcola che ce ne siano 150.000 ettolitri di troppo nelle cantine, che è un bel numero. Risultato, quest’anno l’uva costa 3 euri al miriagrammo. Meno del costo di produzione. Avanti così e in qualche anno un bel pò di piccoli produttori chiuderanno. I Consorzi sono stati voluti dai grandi imbottigliatori.

Giovanni Bianco: Qui è un po’ che dico che siamo su una zattera alla deriva, ma quest’anno ti dico che c’è solo più un chiodo che la tiene assieme. Questa dei Consorzi è l’ultima, la Camera di Commercio, la CIA, ognuno ti dice una cosa diversa, anche due persone dello stesso sportello. A me piace lavorare la terra, quel profumo di erba tagliata al mattino presto, ah. Ma qui ormai è tutto un foglio, una carta, un fax. Guarda un po’, è dal 2006 che ho smaltito la carcassa dell’ultimo vitello che ho avuto, ogni anno l’ASL continua a chiedermi soldi per sto vitello. Ecco il fax che gli ho mandato l’altro mese. Vi comunico che l’unico animale rimasto sono io. La mia carcassa sarà forse smaltita da mio nipote quando sarà il momento. E intanto Morando ha messo su un cartello, se vuoi vendere l’uva, 2 euri al miria. O svendi le uve, o svendi il vino. E Morando sì che avrà le fascette.

Canavese

remo Torinese, anche se bastano 40 minuti, non andare da Cieck. Non guastarmi quel silenzio che accoglie nell’ultimo tratto, prima di attraversare l’ingresso ad arco in muratura. E’ più di un silenzio di campagna, è il silenzio di Cieck.

Non affollarmi il cortile. E’ tutto un pò più piccolo dell’odierno e voglio interrogarmi in pace se sia della taglia di generazioni con meno proteine, o la sapessero lunga sul clima e la coibentazione. Lì è la cantina, sbassate la testa o voi ch’entrate.

Per festeggiare, non andare a comprare il San Giorgio, spumante di Erbaluce. Fermati da Panorama e prendi uno champagne col triplo di solfiti dentro. T’insegnerà che per ogni gioia c’è una penitenza, e io avrò le ragazze di Cieck tutte per me.

Compra la decimilionesima parte di una produzione industriale, non la decimillesima della storia di Remo Falconieri, che fu tecnico ricercatore all’Olivetti, inventò la testina rotante per le macchine da scrivere elettriche, e quando Debenedetti sbriciolò l’azienda, andò ad Epernay per imparare lo champagne.

Aveva già all’attivo centinaia di degorgi fatti a mano, quanti riusciti e quanti rovinosi, e lo muoveva un oggetto dell’infanzia: ‘l butalin d’l vin sfursà. Un tino stretto e lungo di doghe spesse in cui fermentava l’Erbaluce, un metodo Martinotti rudimentale, che dava un bianco frizzante, bevuto in primavera nella scodella.

Non sostare sotto una topia di Erbaluce, questa vite che vuole spazio e architettura per fare bene, che non avrà mai raccolta meccanica e ti rivelerà che è la luce e non il sole a maturare. Così non avrai dubbi quando ordinerai un Arneis per bere un bianco piemontese all’enoteca della tua movida.

Tra Gamalero e Taconotti

smith   Se sei un produttore, penserai che il prezzo incorpora tutto il lavoro necessario, inclusi gli ammortamenti di macchine e strutture. Sarai un sostenitore della teoria classica. Se sei un consumatore, penserai che il prezzo è pari al valore d’uso per te, sarai un marginalista. Se t’interessa dove incrociano questi due prezzi, farai del marketing. E se non ti piace il marketing, beh auguri, domani è un altro giorno, l’equazione non ha soluzioni.

Questo il sunto di mattinata a Tenuta Grillo da Guido Zampaglione, persona che ha studiato e senza calli è agricoltore e produttore di vini naturali tra Gamalero e Taconotti, sul bordo del Monferrato verso l’alessandrino. Colline di pianura il paesaggio, con lontananze. La casa padronale e gli annessi fanno un corpo unico al centro delle vigne. La cosa entusiasma Guido come buona logistica agricola.

Non è come in Irpinia, dove i campi stanno sparsi, ore a piedi col pezzo di ricambio per il trattore. Se il pezzo c’era. Questo prima dei telefonini. Ma anche dopo, non sempre c’era chi ti salvava.

Da Guido infatti puoi comprare anche il Fiano di suo padre, fatto a 900 metri a Calitri, un vino autoevidente, fiorito al naso pepato in bocca.

Questa mattina di mezza estate piove dopo un mese di secco. Le rose selvatiche. Cos’altro ricorderò tra Gamalero e Taconotti, qualche parola con un agricoltore di buona famiglia meridionale.

Terra parecchia e cantina piccola, così molta uva va alla cantina sociale di Mombaruzzo. Quando per il cortese mi hanno offerto 30 centesimi, mi sono messo a vinificarlo da me. Con lunga macerazione, come i rossi. Questo bianco di emergenza è diventato quello che vendo con più facilità, bianco da invecchiamento. Ho sempre voluto fare vini da invecchiamento. Cerco la densità.

Quando la commissione mi ha rifiutato la doc per il dolcetto, che è molto tipico di questa zona, per disgusto ho declassato anche il merlot a vino da tavola. Il sistema delle doc fa acqua non vino. Diradando di brutto per fare poca uva, se non fossi persona seria e vendessi i miei bollini, starei economicamente molto meglio.

L’uso dei lieviti indigeni è molto importante. Quando mi hanno sfidato alla cieca con due vini, uno con lieviti industriali e uno con lieviti del posto, ci ho sempre azzeccato.

Tra i vini naturali, i miei hanno un prezzo relativamente basso. Sono cari ma non costosi. Certo, una bottiglia di Brezza costa la metà. Ma è un vino più liquido, la bocca mi dice che produce quasi il doppio di me, e allora i conti tornano.

Non tutti i pasti vogliono un vino denso e strutturato, ma qualche volta sì. Mio padre fa il viaggio da Calitri a qui con la Elba, ma sempre penso che dovrebbe farlo almeno con la Skoda.

Futuro del bio

salatin_biolibreria Non ci facciamo mancare nulla, e se è disponibile il grignolino di Francesco Brezza, allora ci sbattiamo sulla triste provinciale tra Po e Basso Monferrato, nonostante per 70 km non ci sia posto dove fare un pranzo decente. Qualcuno la sa più lunga di noi e vuole lasciare una soffiata?

E’ Francesco che parla.

Passo mediamente un giorno alla settimana sui certificati. E non è più come una volta, quando c’era mio padre, che i tecnici di Demeter venivano qua e mettevano le mani sotto la terra a vedere se c’era un verme. Adesso arrivano e fanno due passi sulla strada bianca, neanche si sporcano le scarpe per andare a vedere se passo diserbante o disseccante. Non ce n’è uno in grado di capire se quella è avena o orzo o qualche altra erba.

Per vendere mi faccio certificare bio da un’associazione riconosciuta dallo Stato. E’ necessario per la tracciabilità. Una bolla, un certificato. Forfé annuale: 1200 euri. Da uno a dieci certificati: 65 euri. Da 11 a 20 certificati: 120 euri. E via così. Tra biologico e biodinamico ci vanno 2500 euri l’anno. Prenderei anche dei contributi, ma dal 2007 si sono fermati a Torino, alla Regione Piemonte. Dev’essere un effetto del piano di stabilità.

Ho due tipi di clienti. Quelli che comprano la certificazione — svizzeri per i cereali, tedeschi per l’uva da succo — e quelli che vengono qui per il prodotto che faccio e hanno bisogno soltanto di guardare la mia faccia e le mie mani. Per la stalla ho già lasciato perdere la certificazione — dovrei portarle fuori dalla stalla due mezze giornate a settimana, costruire dei paddock. Ma quando mi molleranno questi clienti grossi, lascerò perdere tutta questa cosa del biologico. Non ho più voglia di passare le domeniche dietro la carta.

***** (mag 10) *****

Per mangiare tra Torino e Casale, puoi fermarti a Crescentino. Sulla provinciale, frazione Galli, dove vedi i camion, alla Trattoria Operaia di Catellani Oreste, se ti piace rumoroso. Oppure in paese sotto la Torre Civica, all’Archigusto, se preferisci bere meglio e pagare di più. Se ne hai fin sopra i capelli dei Presidi Slow Food, il tuo posto è il primo.

Arneis adiòs

aferrio_2Passata una giornata a sprecare gasolio per cercare un bianco a km zero. Imbottigliatori battono il Roero a confiscare arneis bollinato offrendo 2,85 — anche 3 + iva. L’arneis in damigiana è finito. Quasi quasi mi iscrivo anch’io alla Confraternita dei Nemici dell’Arneis.

Uno era in città a consegnare, un altro l’aia era deserta, il terzo non ne aveva più. Angelo Ferrio ne aveva — come bianco da tavola — ma non l’ho comprato. Lo sentivo ossidato.

Lo è, conferma Angelo. Quello in eccesso ai bollini lo stocco in vasca e poi me lo dimentico. Non sto a filtrare, come quello in bottiglia. Lo faccio poi rifermentare con la nuova vendemmia, così torna buono di nuovo.

Angelo ha voglia di fare un po’ di comizio, e anch’io ho voglia di rognare.

Comincia sornione. Sentito lo scandalo del vino? Sì lì, i settanta milioni di litri di acqua e zucchero. Ma sì, mica fa male acqua e zucchero, no?

Assumo un’espressione poco convinta. Allora carbura, e ingrana la marcia di un piemontese troppo stretto per le mie orecchie.

Ma io ti dico che settanta milioni di litri è la punta dell’aisberg, ne gira 10 volte di più. Che se il vino fosse vino e basta, lo pagheremmo come il uischi.

Mah Angelo, sta idea braidese che le cose buone se le possa permettere solo il portafoglio gonfio, non la bevo mica volentieri.

Alt. Intanto Carlin Petrini gli dovrebbero mettere su una statua a ogni rotonda del Roero, perché ci ha ridato la dignità, a noi contadini.

Sì, ti ha dato tanta dignità che hai rifatto la cantina e devi pagare il mutuo e così ti è venuta sta idea snob che esprimi il territorio quando fai il vino e il mercato globale quando lo vendi.

Ma lo snob sei tu, che non capisci niente della campagna. Perché il contadino di una volta prima finisce il vino buono e poi va a prendere l’acqua e zucchero e riempie la vasca di nuovo, e poi di nuovo. E quando arrivi tu pensa ard’lu sì il piciu. Vino buono solo in bottiglia.

Ma non in tutte le bottiglie. Guarda che ne conosco tanti di contadini che non sono così e fanno vino sfuso dignitoso e talora buonissimo e se lo compra il territorio, non solo la California o il Giappone.

Mi piacerebbe vendere tutto il vino a Torino, ma non me lo comprano, non vengono fino da me, magari a dare un’occhiata in vigna se c’è ancora un po’ d’erba oppure no. Preferiscono andare al mercato del municipio la domenica e comprare la roba genuina. Va là genuina. Che i poveri contadini la comprano ai mercati generali. Fan la coda per i salami genuini fatti coi maiali morti malati, i cretini.

Mm. Comunque adesso te la dico io una cosa. Sono finiti i soldi, non ce n’è per le bottiglie da 10 euri.

Ma va là, che gli euri li hanno per mettersi in coda e andare a Spotorno tutte le domeniche. Però mangiare e bere bene no, sono finiti i soldi. Ma noi siamo quello che mangiamo.

Ecco, adesso tirami fuori l’altra tiritera braidese, che bisogna insegnare ai ragazzi fin dalle scuole eccetera eccetera.

Proprio.

Cascina Ca’ Rossa

Prosecco del contadino stanco

canello_19L’altr’anno avevo preso del prosecco da imbottigliare da Silvano Follador a Santo Stefano di Valdobbiadene, ma quest’anno, nno, non ci interessano più le damigiane, comprare uva, nno, lavoriamo con la nostra, imbottigliamo tutto quanto, ci spiace, se vuole le mando il listino delle bottiglie.

Così ho seguito l’indicazione di Giuseppe Davalli, un giovane sommellier di Padova, e sono andato da Gregorio Canello a Guia di Valdobbiadene.

Quando gli chiedo se è un contadino, Gregorio mette le mani col palmo all’insù e le guarda. Cazzo, non ho mai fatto altro. In effetti, le mani sono quelle.

Gregorio si sente minoranza nel mondo del prosecco, tanta gente vestita da festa. Conta le bottiglie che fa questo e quest’altro, e chiede ma dov’è la terra. Ha stima di pochi, te podarissi copàrghene nove su diese. Stima Loris Follador, ma quando gli dico quanto mi fa pagare il sur lie commenta el xe mato.

Il mercato di Gregorio è soprattutto di prosecco sfuso, farà 5000 bottiglie spumantizzate, in etichetta la statua del contadino stanco, come mi.

Gregorio non è mai stato in aereo. Quando sono riusciti a mandarlo in crociera sulle isole greche, più che in spiaggia è andato a visitare i cimiteri di soldati italiani.

Gregorio ha una passione: la sopressa. Trovare il maiale, macellare, tritare, mescolare, speziare, insaccare. Te lo sè quanto te ga d’andar distante per trovàrghene una compagna? Per ironia, Gregorio ha la gotta, non può mangiar sopressa nè bere prosecco. Ha due figli che non continueranno la storia dei Canello vignaioli.

Mi parla del terreno del prosecco, la sua alcalinità, che bisognerebbe solfitarla, che bisogna ringraziare Berlandieri, l’agronomo che andò a cercare in America, suolo acido, una vitis rupestris in grado di adattarsi ai terreni alcalini d’Europa. Oggi tutti i supporti sono incrociati con la Berlandieri.