Nuova Lotteria di Babele

Non parliamo di vino, perché siamo presi da un lato di classe e non specifico, cose ci accadono in quanto kulaki, anzi ex-kulaki e oggi a pieno titolo detenuti del GULag fiscale democratico. Non solo i campi si svuotano per burocrazia, ma le vie. Processo lento ma inesorabile, un piccolo commercio che respira ancora sarà oasi nel Sahel urbano, con rischio di miraggio.

Dopo la fatturazione elettronica, tocca l’acquisto forzato dei misuratori fiscali telematici, con obblighi annuali a pagamento di sostituzione scheda giornale e biennali a pagamento di revisione macchina. Sullo sfondo la Grande Lotteria degli scontrini, che farà della fantasia metafisica di Borges una profezia.

Questo è il film per tutti, ma i torinesi saranno deliziati da un plus di tasse locali all’avanguardia, multe da droni, e tutta una serie di bocconcini che si vanno preparando nelle cucine dell’Intelligenza Artificiale coccolate dall’amministrazione. Roba lucida, ma difficile da assimilare.

Questi sono i fatti. E poi? Cosa resta? Il cinismo storico o l’indifferenza messianica — quelli che vendono vino, come non lo vendessero (I Cor. 7, 29-32). Buono per l’autarchia o per la salvezza, meno per l’economia.

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Autoritratto senza smart phone

Mi chiamo Vinologo, sono un negozio fisico. Lavoro in una città postfordista. Vuol dire un posto pianificato per essere pieno di startup, mostre d’arte e bar notturni.

Lavoro in periferia, nel Grand Canyon di corso Belgio. Grazie a Dio sto fuori dai tracciati delle nuove infrastrutture. Quando odo che la Junta si occuperebbe delle periferie, mi inquieto. La macchina-a-eventi dell’assessore non permette secessione e già so che gli organi di piccolo governo del quartiere l’accoglierebbero meno come un problema che una soluzione.

Appena nato, per l’Ufficio Comunale ero un punto vendita. Dopo tre mesi mi tassò perché ero una superficie. Da allora non ha mai smesso, ogni anno la chiama in modo diverso, RSU, RI, SI, come se potesse confondere la tassa percepita. Parliamo di coltellate, non barzellette.

Sono un negozio fisico, non online. Lo spazio fra te e me non è coperto da un corriere, quel po’ di lontananza fa parte dell’esperienza di guardarci in faccia e forse riconoscerci, surroga l’andare in campagna — alla botte! Pericoli là e qua, un cinghiale ti attraversa la strada, un municipale ti fa la multa.

Lavoro così tanto sul prodotto, che non mi rimane tempo per il marketing. Un consulente decente mi frequentò e mi lasciò andare per blanda disperazione. Mi astengo dai parafernalia della comunicazione, non rispondo in modo convenzionale alle recensioni e non colleziono la tua mail. Per non alimentare la bestia dei big data, mi tengo al di qua dello smart phone. Forse ci sono o forse ci faccio il deficiente digitale, accetto però criptovalute.

Sto sulla strada e ti prendo come sei. Ma ti preferisco se rimane in te qualcosa di fordista, se non hai rendite — raro! — e tieni famiglia. Se ceni a casa, non solo perché costa meno ma perché mangi meglio. Se stai nella languida catena delle generazioni, che ebbero il vino come alimento e medicina e compagno di colloquio e pensieri.

Il dolcetto e la lontananza

Cosa mi piace di Fabio Somazzi dello Zerbone? Che non c’è sito web e neppure targa in strada a indirizzare. C’era, fu tolta in seguito a lavori stradali — siamo o no un paese keynesiano? apri la buca chiudi la buca, non è così che si crea ricchezza? — e mai più ripristinata. Da allora sono finite le visite di controllori, effetti benefici della non-comunicazione, a volte basta poco per stare meglio.

La modestia. Mai si considererebbe l’erede di Pino Ratto, che ha conosciuto e stima, di cui ha assaggiato verticali di dolcetto andando a ritroso fino agli anni ’80. Eppure i suoi dolcetti d’Ovada hanno le stesse potenzialità d’invecchiamento, mantengono nel tempo una freschezza sorprendente. Con Pino Ratto condivide anche le origini liguri e di essere capitato nell’ovadese per caso e di esserne diventato interprete.

Il suo italiano leggermente incerto, dovuto a matrimonio con donna svizzera prima di trovarsi inconciliabili. Ancora oggi usa il suo tedesco per passare periodi di lavoro in Svizzera, come cantiniere o viticoltore esperto – sì, anche là si fa del vino. E’ pagato molto bene, secondo parametri italiani, peccato debba pagare le tasse in Italia. Prima di Ovada, il suo percorso è passato per Alsazia, ho visto tanta solfitazione, Svizzera, ho visto tanto zuccheraggio, Toscana, ogni sei mesi cambiava proprietario e si reimpiantava e si ricominciava da capo.

Essere e non dichiararsi biodinamico. Non aggiungere solfiti dal 2009, senza che ciò abbia accorciato la vita dei suoi vini, bianchi compresi. Vedersela con un’uva in disgrazia come il dolcetto o snobbata come il cortese e farne cose interessantissime. Doverlo incontrare alla Terra Trema, e poi andare a trovarlo là da lui e poi darsi arrivederci qua da me, come un’applicazione del teorema che l’incontro esiste su base di lontananza.

Sharmelsheikizzazione

copertina_mozzarelle_o2Promuovo questo libro senza far mio l’armamentario concettuale. Nella fotografia dell’odierno spazio-tempo non vedo capitalismo ultraliberista di sorta, traduco anzi così il Presidente del Consiglio che in Borsa va a dire il capitalismo di relazione è morto: il capitalismo delle VOSTRE relazioni è morto, il capitalismo delle NOSTRE relazioni è vivo e vegeto.

Non vedo similmente austerità come causa. La spesa pubblica è in salute smagliante, le tasse anche di più, gli unici tagli sono alle deduzioni. Non sono varoufakisiano, iscritto da un pezzo al partito del non ce la facciamo, non vedo uscite e semmai individuali.

Non vi si parla di tasse. Peccato, perché la pratica fiscale del Genio del Marketing, o qul di frigu, come viene chiamato in sprezzatura nella Provincia Granda, è di certo rilievo. Nella polarizzazione tra precari e padroni, sarei più interessato alle fosse comuni dei kulaki della classe media.

Ciò detto, il libro è sistematico, come merita il suo oggetto, e pieno di fatti e di opinioni e di numeri, interessantissimo per i torinesi. Titolo cervellotico, che allude a un certo passo di Marx sul feticismo della merce, l’argomento è relegato al sottotitolo — lo slowfoodismo fatto sistema, la Matrix gastronomica.

Design

paletta_534Questa paletta fu fatta da Mario Bianco 20 anni fa, in quel laboratorio che si intravede sulla destra. Gli ci volle una giornata intera di lavoro metodico e perfezionista. Sorse al di fuori dello scambio monetario: la parte che raccoglie è un pezzo di lamiera di copertura precisamente piegata, l’asta viene da un pezzo di castagno squadrato e rifilato, il manico, così ergonomico, da un altro scarto di legno ritornito, i rivetti che le hanno dato solidità erano chiodi da cerchi di botte recuperati, tagliati e ribattuti a misura. Broche ‘d cerc, in lingua originale, ma l’alfabeto scritto non rende giustizia — la b si liquidizza in una v, la r che segue si arrota, la seconda e si allarga in una quasi-a. Qui in Monferrato l’esplosività del piemontese si combina con un’impostazione consonantica non ubriaca ma alticcia e le vocali si moltiplicano in mezze misure.

Questa paletta mi fa pensare.

Al tempo mai perduto in distrazione e se sia vero che le opere da sole non salvano. Al design di un oggetto fatto per essere molto usato e per durare più di se stessi, che diventa anzi più bello con gli anni. Alla languida catena delle generazioni e alla compresenza di vivi e di morti. Al saper fare che non c’è più e a quanto ne sentiranno la mancanza i tempi che vengono. Alla qualità senza nome. Alla verticale caduta di qualità degli oggetti circostanti a cui ho potuto assistere brevemente vivendo. A come sarebbe possibile che il vino sia cattivo dove si raccoglie la rumenta con tale paletta — il mitico Lato B senza solfiti aggiunti.

Ho il privilegio di usare quotidianamente da sei anni una scopa fatta da Mario come quella accanto alla paletta, perfetta per il marciapiede, che mi fa da aia. Credo di averla portata ai tre quinti del suo ciclo vitale e di avere cambiato nel frattempo almeno sei palette. Ho spazzato con lei due quintali circa di cicche e cartacce senza spingermi a chiedermi come mai non ci fosse qualcuno in divisa a farlo per me, visto quello che pago di immondizia. Una scopa che dà pace.

Tajarin

Di dicembre rimarrà il metodico scuoiamento — saldo dell’immondizia, acconto ires e irap al 102,50% (cosa sarà mai il saldo, nella spudorata neolingua?), deducibilità al 20% dei costi di trasporto (preparare Opinione Pubblica, di seguito OP, con articoli su invecchiamento parco macchine. Accogliere Gruppi di Pressione, di seguito GP, con emendamento acquisto OBBLIGATORIO nuova auto aziendale), acconto iva.

Fatti un giorno spiegare l’esoterico funzionamento di una nota spese italica, pranzo di lavoro in comune esterno, con tua quota detraibile all’x% e quota degli ospiti detraibile all'(x-y)% in cinque anni, per portare ai livelli di remunerazione del conto corrente la tua residua speranza che le cose si possano riprendere. Altro che cacciavite. Altro che caterpillar.

E in mezzo l’insostenibile gioia per la nascita del Bambino. Tu ci schianti tra realtà e vangelo.

Di dicembre rimarranno due parole col Corsaro, che mi invita ad alzare gli occhi al cielo, come Geminello Alvi. E l’incontro che ebbi con Mauro Musso ad Alba.

E’ Mauro artigiano dei tajarin e gourmand di nuova generazione, quello che arriva al gusto nella sua ricerca dei rimedi, espertissimo di quanto ci sia bio.

Per i suoi tajarin, farine di Marino — quelle di Sobrino andrebbero altrettanto bene ma la macina è meno fine e inchioda la macchina della pasta. Imparo che per la farina l’industria toglie del seme la pellicola esterna e il cuore interno, la crusca e il germe, lasciando solo l’endosperma.

E’ il tipo che va a farsi fare il pane con le sue farine a Calcinere, per incorporarne acqua e aria, 70 chili alla volta da scongelare via via. Beve solo caffè Blue Mountain giamaicano, in grani, si macina ogni volta la dose che serve.

Inquadramento storico della pasta all’uovo: nella civiltà contadina veniva fatta quattro o cinque volte l’anno a celebrare matrimoni e battesimi. Il ragù di carne accompagnava anche lui la mancanza di calcolo della festa.

Pranzo a casa sua, prepara lui. Tajarin di farro monococco con burro e salvia e tajarin della tradizione con ragù di carne, croccanti come una pasta di Gragnano. Portavo con me una bottiglia di dolcetto di Cascina Corte, ma lui preferì accompagnare con un bianco a lunga macerazione, il Muntà di Andrea Tirelli, così che lo scoprii.

Moscato

Op op, il cavallo dei Rivetti è un bellissimo stallone da tiro che i fratelli posseggono per snobismo e l’aratura a trazione animale operazione mediatica ben preparata, da svolgersi su quella giornata di vigna e solo quella. Spenti i riflettori, staccato il cavallo.

Gianni Doglia li ha 200 metri sotto, può ben essere testimone affidabile. Conosco vignaioli che raramente bevono vino, Gianni fa parte dei curiosi. Cercatore di profumi e immaginifico nel descrivere (conosco vignaioli che non gli estorceresti una metafora neanche sotto tortura), è da lui che ho meglio imparato a pensare un nebbiolo come una violetta o un arneis come un’albicocca.

Lo sentii parlare di barbera a un tavolo dell’Oca Giuliva. Dalba o Dasti? C’è dunque la stessa differenza che passa tra una bella donna e una donna bella. A voi completare il disegno, si sappia solo che la donna bella è quella che va frequentata, ne vanno amati i pudori, vanno valicate lontananze, muri dell’acidità. Si sappia che Gianni, come Soldati, si schiera per la barbera sul lato destro del Tanaro.

Ma è col moscato che si è guadagnato il rispetto del mercato e dei vicini. Non è il suo un moscato alla Bera burroso, ma etereo di salvia, di menta, di pesca bianca. Quest’anno imbottiglia per la prima volta un cru di moscato, Casa di Emma o di Carla non ricordo, che tende della pesca al giallo. Lo vorrebbe compagno anche di un formaggio stagionato — Soldati non beveva moscato su una fetta di salame?

Perché nel mondo c’è o c’è stata moscatomanìa, si è piantato moscato qui e là, e si fa moscato da più di un dove. Quello d’Asti però evolve in modo diverso da quello, che so, pavese. Quest’ultimo dopo un anno scende in pendenza accelerata, il primo ci mette un po’ di più a raggiungere il picco, scende poi più dolcemente e dopo due anni si stabilizza verso un arancione, la macedonia! Si va dunque da questo è un po’ stanco dopo un anno a càspita come tiene bene dopo due.

Moscato, vino di territorio ma tecnico. Dal sacco di juta come filtro di due generazioni fa al controllo della temperatura, l’uva va vinificata in fretta per minimizzare l’ossigeno, ci va l’ausilio del laboratorio. Perché, Bera dice che usa lieviti autoctoni?

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grazie_a_tutti_192Ma che gusto c’è a parlare di vino, assomigliando a orde di brillanti food writer cresciuti simpatici alla Scuola Holden partecipata da Farinetti? Cavo di più a ripetere ossessivo che fa schifo come ossessivamente tassano, accise sugli spiriti, accise sul gasolio, pranzo in mensa scolastica a quasi 10 euri! Immondizia alle stelle! Quotata in Borsa! Il Nuovo Catasto regolato sulle offerte immobiliari! Il cento per cento a Cesare! A Dio un F35, vero, ministro di CL?

Sagrìn

bersani_anni_dopoC’era una volta un ceppo, si chiamava Settore Privato. Per anni quel metodico falegname levava e piallava e asportava, finché fu chiaro a che mirava scolpire, un crocifisso. Ma quello scrupoloso scultore aveva un ideale stilistico, Cristo in croce lo voleva à la Giacometti, al limite matematico della smaterializzazione. Perciò non smetteva di levare e piallare e cesellare, e trovava che ce n’era pur sempre troppo.

Dalla metà di ottobre una bottiglia di grappa costerà il 15% in più. Soldi che vanno allo Stato, mi dicono per indeterminare precari scolastici. Non si chiamano tasse, si chiamano accise.

Settembre sagrinà per il dilemma dell’auto, un vecchio fuoristrada che fa parte di te, 320 mila kilometri tra Costigliole e Santo Stefano, scorciatoie e fanghi. Cambiarlo? Tanti soldi e modelli anabolizzati o femminizzati. Manutenerlo? Tanti soldi e la polizia che ti ferma per fare il tampone alla nafta, per vedere se è agricola. Nel qual caso la multa si precisa in un euro al kilometro! 320.000 euri di multa!

Quel corpone si stringerà in una Panda, ad evitare malintesi col redditometro. Scorciatoie addio, addio fanghi. Meno iva per lo Stato, meno urgenze per l’agricolo. E’ da un po’ che insisto, prendi un mulo e fai al minimo. Dice che i fratelli Rivetti già arano col cavallo, vedi che si può?

E’ che il minimo è tanto per il viticultore. A tagliare sulla dedizione rischi il raccolto. Ti conviene forse tagliare sugli ettari. Un ettaro di vigna vale infatti per lo Stato 150 giornate lavorative, la soglia oltre la quale la tua attività agricola è considerata prevalente, con conseguenze a cascata di contributi, obblighi, controlli, spese e corvé, la macchina che tortura e stritola. Ecco perché l’anno scorso chiusero in provincia di Asti quasi cento aziende agricole, molte di vigna.

Bitcoin

Ce n’è uno nuovo, anche lui vede luci. Matrix amatriciana. Ingigantisce intanto la già mutante rostrata mano che prende. Essa non abbassa, rimodula, come un usignuolo. La mano che dà si demoralizza come il vinto. C’è meno rischio a credere alle luci o a fare scorte?

Con Havel, ignorali. Con un vecchio papa, non avere paura. Anche se non sarà divertente.

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Vanchiglietta non è Kreuzberg, vero, ma noi accettiamo bitcoin.

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Qualche giorno nella Bresse, come d’abitudine. Comprato qui, qui, qui, qui e da Sylvie e Pascal Pauget, che non hanno sito internet ma stanno in un paese di poche case in pietra dove il sano di mente vorrebbe abitare, sulla strada tra Tournus e Cluny. Pochi chilometri prima una replica più boheme, Chapaize.

Metodi classici e diversi esempi di pinot nero della Borgogna del Sud, che sta alla Cote d’Or e alla Cote de Nuits come il Monferrato alle Langhe, vino meno caro e più accoglienza. E’ in questa Borgogna che mi specializzo.

Vendono parecchio in cantina ed esportano, gli affari non c’è male. Sulle prime tentai in stentata lingua di spiegarmi inquilino degli ultimi tempi, poi rinunciai. Tanto dopo di noi, loro.

Decrescita

Le cose nel GULag migliorarono quando i detenuti cominciarono a giustiziare i delatori.

Fu un’epoca nuova, allegra e un tantino paurosa nella vita del lager speciale. In definitiva, non eravamo fuggiti noi, erano fuggiti loro, liberandoci della loro presenza. Epoca inaudita, impossibile su questa terra: un uomo con la coscienza sporca non può più coricarsi tranquillamente! L’ora dell’espiazione non suona nell’altro mondo, non è rimandata al giudizio della storia; è un’espiazione viva, tangibile che alza su di te, all’alba, un coltello. Situazione immaginabile solo in una fiaba: la terra della zona è morbida e tiepida sotto i piedi degli onesti, spinosa e ardente sotto quelli dei traditori! Non si può augurare altrettanto allo spazio oltre la zona, al nostro mondo libero, che mai ha veduto tempi simili, nè forse mai li vedrà. (Solzenicyn, Arcipelago GULag, III)

Era il 1950, il GULag aveva trent’anni, il sistema allo zenit della potenza. Chi ha orecchi per intendere, intenda.

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E che, ci voleva un Beppe per incentivare la decrescita, quando abbiamo un sistema intero dedicato.

Da luglio sarà esteso il DAco, bolla di accompagnamento vidimata in Comune, anche alla damigianetta dell’ultimo pensionato ansioso di imbottigliare da sè il vino comprato in campagna. In alternativa l’agricolo potrà microfilmare la bolla o inviare in via telematica i dati secondo le specifiche dell’Ente. Mettiamo che l’addetto in Comune sia in mutua, che l’agricolo non sia fornito di telecamera e che i server dell’Ente siano fuori servizio, coincidenza di eventi con una certa probabilità di sussistere, cosa farà il pensionato o il trasportatore? Fissera’ il panorama, in attesa che lo stallo si sciolga. O pagherà la damigianetta in nero. O manderà tutti a cagare. Taxation by regulation, trasferimento di reddito dal produttore al sindacato, dal prigioniero numerato agli amici degli amici.

Ricevo un avviso della Corte d’Appello con il ricalcolo della Tassa Rifiuti, mi addebitano 23 mq in più. Il ricalcolo è retroattivo di cinque anni, più mora più sanzione del 100%. Totale 5000 e rotti euri. Quest’anno pagherei 10000 euri di Rifiuti, io che riciclo il vetro! Chiamo l’Ufficio, l’impiegata mi spiega che dovrò andare in Catasto con la delega e la fotocopia della carta d’identità del padrone di casa. Uh, un mucchio di tempo da perdere, faccio io. Ma lei sarà ben pagato per fare questo, no? fa lei. Per fare questo? Ma dove vive? faccio io. Certo che non vivo dove sta lei, fa lei. Occhio impiegata, che la terra dove posi i piedi non ti diventi spinosa e ardente.

Egregio Sig. Sindaco, si tenga pure i servizi e voglia assecondare la mia secessione. Preferisco essere taglieggiato dalla mafia, essa tutelerà la mia sopravvivenza meglio del Comune, che mi vuole morto.

E quel cliente che arriva con la Panda 4×4. Ha venduto la sua Mercedes 3000, stanco di essere fermato per sapere con quali redditi si permetteva. Racconta dell’amico dentista che gira tenendo nel cruscotto 1) verbale del primo accertamento, 2) dichiarazione dei redditi, 3) atto d’acquisto. Per rilanciare le vendite sai cosa penseranno? Incentivi.

E C. a Calamandrana che mi fa il resoconto annuale. Sono passati tutti, ASL, RepFro, NAS, Valore Italia, Forestali, in totale 11200 euri di multe. 1500 per l’HACCP compilata male, quando per non avere il registro la multa è di 500. Appena se ne sono andati, ho buttato il registro nel putagé, mi conveniva.

E quel cliente che ha messo il patrimonio in un casale toscano e volle fare una piscina per le tre camere e si trovò a dover rispettare la stessa normativa di una piscina olimpionica in cui si tuffano 5000 persone al dì.

E…