Ma perché beviamo il vino

Posso partire dall’alto? (o dal fondo). Da quell’uomo sacro che nel mondo romano antico per aver commesso qualcosa viene bandito e si trova nella situazione di poter essere ucciso da chiunque ma sacrificato da nessuno, perché non ci sono per lui dèi nè superi nè inferi, si trova cioè nella nuda vita. Ecco, a me la nuda vita mi interessa.

Però questo è un concetto un po’ denso, un vino troppo importante che a quest’ora non si beve, se aggiungiamo dell’acqua e lo facciamo diluito, abbiamo la vita semplice. A me la vita semplice mi interessa.

Come commerciante sono interessato all’insieme intersezione della vita semplice e del vino, che, è facile, è costituito dai vini semplici. Come commerciante sono anche portato a credere alla Mano Invisibile, cioè che un grande numero di eventi si costituisca da sé in ordine spontaneo, e che l’ordine spontaneo sia più solido di un ordine imposto dal potere. E’ qua che cominciano a venirmi dei dubbi.

Non la vedo bene, non mi pare che la vita semplice abbia un mercato tanto prospero, e quindi anche il sottoinsieme dei vini semplici. Ma allora perché beviamo il vino?

Sì, perché da una parte c’è la Medicina, che è una potenza tecnica notevole, ciascuno di noi l’ha sperimentato negli anni scorsi, e la Medicina vuole che il vino fa male. A un certo punto della tua vita te lo vogliono togliere, insieme ad altre cose.

Poi c’è la Sicurezza, che in nome del Bene Comune è un bel motivo per lo Stato di intervenire. Se ti muovi sulle strade, il rapporto fra te e il vino deve essere regolato da un numero solo: lo zero.

Io penserei che beviamo il vino, ancora e nonostante tutto, perché ci connette e ci trattiene nella Languida Catena delle Generazioni — qui il copyright è di Lindo Ferretti in Ultime Notizie di Cronaca.

Tartufi

Stato con trifolao della provincia di Asti. Non un professionista che vive di quello, fa un altro lavoro, ma si capisce che in testa ci sono i tartufi.

Il mondo dei tartufi è molto occupato da cani, e la singolarità specifica dei cani vi è molto viva. Ognuno ha un suo modo di cercare e di percorrere lo spazio col naso. Ci sono delle razze considerate adatte al tartufo, ma secondo il nostro trifolao i migliori sono i bastardini, che lui prende da cuccioli per allevarli lui. Un buon cane da tartufi può valere 4 o 5mila euri, un campione anche 7mila.

Il trifolao prende un compasso e traccia un cerchio di 6km di raggio intorno a casa sua, non sconfina, perché lo spazio del tartufo è sempre occupato da altri, e questo autocontrollo limita i conflitti. Dei conflitti la prima vittima è il cane.

Il tartufo genera truffe, raggiri, messinscena. E’ comune che quello d’Alba venga mescolato con altri tartufi bianchi meno pregiati, umbri per esempio, a trasmettere profumi e trarre in inganno. Quando Cristiano Ronaldo l’anno scorso assistette alla cerca del tartufo a Costigliole, il tartufo era già stato interrato in precedenza, non si voleva farlo venire fin qua e poi girare a vuoto. Perché andare a tartufi è un po’ come andare a pescare, devi avere pazienza con risultato incerto. Ma la pratica è diffusa, perché c’è un’economia laterale del tartufo fatta di pullman di stranieri, con i parcheggi dedicati, che vengono ad assistere al ritrovamento.

Questo significa che se non si può coltivare tartufi, si può però curare un contesto favorevole. Ci sono infatti piante più adatte — pioppo, quercia, tiglio. La pianta non deve per forza appartenere a un bosco, il trifolao racconta di un tiglio a Canelli che aveva un tartufo sotto l’asfalto. Vennero di notte col mazzuolo foderato di stoffa per togliere l’asfalto e con l’attenzione di un archeologo isolare il tubero.

Quando girava con suo padre non era raro tornare col cesto pieno, che oggi sia difficile trovarne è un segno di ambiente compromesso, piogge acide, prodotti di sintesi etc. Oggi è un’attività molto regolamentata, con patentino, corsi d’aggiornamento, polizie. Chi ne dubitava.

Il tartufo mi ha interessato perché NON si può fare online e NON sarà compreso dal Recovery Plan.

Siamo tutti bordolesi

Anche qui da noi in Piemonte si piantarono varietà bordolesi nei primi passi della globalizzazione, quando andarono di moda i blend un po’ legnosi, o molto. Per non morire di Barbera, dice Claudio Solito.

Oggi che la parola blend provoca una smorfia perché la precomprensione è monovarietale, oggi che il globalista beve autoctono, e la barbera ha preso prezzo via consorzi di tutela, le varietà internazionali fanno pensare a quelle opposizioni un po’ scialbe a cui siamo così abituati.

Ma posso rammentare che prima di essere internazionali i bordolesi sono un territorio e tra i primi sei vini più costosi al mondo cinque sono dei Cabernet Sauvignon in blend col Merlot, e che è bordolese l’archetipo del vino?

E sommessamente suggerire al carnivoro di provare dalla carta di Vinologo il Cabernet Sauvignon 2016 da Langa, col suo passato di barrique, e il Merlot 2017 dal Nizzardo astigiano maturato in acciaio (o al vegetariano di lasciarsi ispirare dalle note erbacee del Cabernet Franc friulano)?

Nell’argilla piemontese non ci sono i sassi della Rive Gauche, siamo un po’ lontani dal mare, l’estate è torrida, ma gli impedirà di concludere che sono più simili a un vino californiano una certa eleganza, che lo farà sentire a casa come una Barbera.

A pale red wine

Di marzo 14 ricorderò cose che non furono. Che andai per la terza volta ad Alfiano Natta località Cardona per comprare da Crealto qualche bottiglia di Marcaleone, il grignolino che una volta faceva Quarello e ora due giovani famiglie di Genova. E che tornai a mani vuote perché le due giovani famiglie di Genova mi imposero il giro lungo dei distributori di vini naturali. Se non è pietra sopra, fu per amor di Genova.

Mi consolai leggendo un ritratto di Angelo Gaja scritto da Matt Kramer.

“Thirty years ago my colleagues saw being a leader in Barbaresco like being a leader in Grignolino,” Gaja adds with the barest tinge of bitterness. Grignolino is a grape that creates an inconsequential pale red wine that once was popular among the local farmers.

Inconsequential.

Pane e acqua

marcarinoE’ da più di un anno che il giovedì ci facciamo portare pane e grissini da Roberto Marcarino di Roddino, Cuneo. E’ ora di ascoltare un po’ il pensiero di Roberto. E’ un pensiero elementare, nel senso che sta presso gli elementi, e perciò è oltre — verso il corpo eterico.

Il biologico è un setaccio, riduce ma non elimina il transgenico, che è roba che crea intolleranze. Io faccio il pane con la pasta madre dal ’97, senza lievito di birra dal 2000. Uso le farine di Marino di Cossano Belbo, che macinando a pietra lascia un po’ di integrità anche al pane bianco — un po’ di germe, un po’ di fibra, sali minerali.

Ma il punto non è il bio, è che ci devi mettere un po’ d’anima. Se sei relativamente a posto con te stesso il pane viene buono, e viene male se non sei in quadro. Se San Francesco facesse il pane con una farina qualunque, sarebbe più buono del bio. Il pane è sensibile all’amore, come le piante.

A me mi è cambiato il pane quando ho cominciato a usare l’acqua vitalizzata. Se vieni su da me puoi vedere le piante con che entusiasmo hanno reagito. Infatti uso la tecnologia Grander e l’ho piazzata subito dopo il contatore, a monte di ogni uso domestico. Serve a ridare vitalità all’acqua, che non è più quella di sorgente, ma in tubazione, sotto pressione e addizionata di chimica. Un’acqua in ordine è già un antisettico di suo.