Sandro Barosi ci ha detto più di una volta di provare il Sauvignon di Boschis, che è una cosa eccezionale. Quando abbiamo avuto occasione di prenderne qualche bottiglia, abbiamo chiesto a Mario di raccontarci la storia di questo vino.
E’ una storia bella e brutta. Nel ’94 volevamo piantare del bianco, un po’ per consumo famigliare un po’ per sperimentare. Scartati Favorita e Cortese come vitigni molto produttivi, scartato l’Arneis che è tipico del Roero e non di queste zone, rimanevano i vitigni internazionali, Riesling, Chardonnay e Sauvignon. Io preferivo il Sauvignon per certi suoi profumi di foglia di pomodoro. Ne piantammo tremila metri da vivaio.
Il primo anno di raccolta, il bostrico – un insetto grosso come una formichina che buca il legno – attacca solo il Sauvignon. Addebitiamo la scarsa resa delle viti al bostrico. Ma negli anni successivi ci troviamo di nuovo con delle rese bassissime e un vino con un grado alcolico di 14, 15, perfino 16. Così indagando scopriamo di avere impiantato senza saperlo un clone particolare, l’R3, che di solito viene usato in modo diverso, una vite ogni tanto per dare struttura e corpo al vino.
Io volevo reimpiantare con dei cloni più produttivi, ma mio figlio Paolo diceva di lasciare stare, meglio poco ma buono. Oggi con 1300 viti produciamo 600 litri di Sauvignon, una resa del tutto antieconomica per un vino che ha una circolazione poco più che clandestina. Ecco, è una storia bella perché il vino è buono, brutta perché non ce n’è.