Prima metà di agosto, soggiorno a Montrevel. Ogni mattina, andando a prendere una baguette, sosto davanti alla carta di Lea. Sospiro sui prezzi del menu e ammiro la lista dei vini, così stringata, così precisa. Otto vini e nessun borgogna.
La lista mi parla: attento, sei nella Bresse. Idealmente parlando, qui costruiamo in terra cruda, la Borgogna in pietra. Se ci fosse ancora un patois, qui parleremmo una specie di occitano, la Borgogna parla francese. La storia ci fa rivolti a sud, per questo vedi i vini del Bugey e di Borgogna quel lembo che ci è più vicino, il Maconnais.
Ascoltiamo dunque la lista di Lea, andiamo a cercare il Viré-Clessé di Jean-Pierre Michel.
Lo troviamo a Quintaine, a metà strada tra Viré e Clessé. Jean-Pierre lavora su 7 ettari, usa lieviti indigeni, potremmo definirlo vicino ai vini naturali. Viré-Clessé è una doc relativamente recente. Cosa distingue uno chardonnay Puilly-Fuissé da uno Viré-Clessé? Il Puilly-Fuissé è lontano dalla Saône 6 km, il Viré-Clessé 2, questo lo espone a delle correnti d’aria più fresche, a una maturazione più lenta. Cogliere il punto di maturazione giusto dell’uva è forse l’atto più decisivo per i vini di Jean-Pierre Michel.
Assaggio il 2007. Un buon chardonnay. Ma poi provo il 2006 e questo sì che si fa notare. Sembra quasi un passito ma con la freschezza del vino da pasto. Jean-Pierre dice di aver proceduto nello stesso modo nel 2006 e nel 2007, tutta la differenza che sento è dovuta all’annata. Fu un luglio molto caldo e un agosto freddo, alla vendemmia l’uva era eccezionalmente carica di sostanza e di zuccheri. In trent’anni di lavoro gli è successo forse due volte di avere un vino così.
Amici e clienti, è questo Viré-Clessé fuoriclasse che vi porto, rendiamo grazie alla lista di Lea.
Vi porto anche da accompagnarlo, terrine di fois gras e paté di canard in tre preparazioni diverse, preso a Dommartine in una ferme tres tres bressane, tres tres ruspant.
Vi porto del Crémant de Bourgogne preso nella sua patria a Rully sulla Côte Chalonnaise, di Ponsot agricolo figlio di agricoli.
Vi porto del Givry di Vincent Lumpp, 1er cru le Clos du Cras Long 2006, buono per i prossimi 10 anni e più.
E vi avrei portato ancora della borgogna bio e rebelle, se incrociandola da nord a sud avessi trovato uno, dico uno, dei miei indirizzi che non fosse in vacanza. Sette porte chiuse e sette campanelli senza risposta trovai alla ricerca dell’altra Borgogna, che bio-delusione. Che inane rappresentanza del territorio.
In effetti anche quella più ufficiale era in mano alle mamme e alle nonne, donne che non rinuncerebbero a una vendita neanche per stare in spiaggia col marito o figlio vignaiolo. Da una di loro vi porto un 1er cru di Volnay, dopo Musigny la zona dei rossi più eleganti della Côte d’Or.
Ma ormai tutto il mio desiderio era verso il Bugey di Lea, i nomi di Seyssel, Chiroubles, Montagnieu mi risuonavano come i nomi delle stazioni nel cuore di Proust.
Non ebbi più tempo. Solo potei puntare al suo lembo occidentale, il Revermont. Da Tossiat vi porto delle bollicine rosate di gamay, l’uva del beaujolais, coltivato da Christian Ballet vignaiolo part-time, e dentro di me il ricordo dello spuntino forse peggiore della mia vita non breve.