Impossibile

Non si aveva notizia di contagiati in paese, i giorni passavano tranquilli, i mutui slittavano, il telefono taceva, era una bella primavera — noi il lockdown ce lo siamo proprio goduti. Così Sandro Barosi a Dogliani.

E noi a Torino saremmo da meno, solo perché siamo smart siamo food siamo startup? Anche noi abbiamo gradito la ricetta cinese, e siamo convinti che prossimamente ci toccherà un bel po’ di serendipity — conseguenze non volute — tutte storie di successo senz’altro. (Qui per cogliere il riferimento )

Chi non ha pensato che l’emergenza squarciò il velo? Ci sottoponemmo a lunga esposizione al componimento 838 della Dama Bianca di Amherst, MA, che di veli si intendeva, seguace di una setta con un solo fedele, secondo la definizione di Harold Bloom.

Impossibility, like Wine
Exhilirates the Man
Who tastes it; Possibility
Is Flavorless — Combine

A Chance’s faintest Tincture
And in the former Dram
Enchantment makes ingredient
As certainly as Doom —

Chiesi a John, mamma battista e battezzato metodista (è inutile che metta il link all’acquisto di Pane e Football, perché arricchirebbe solo Slow Food, che non gli paga i diritti. In compenso ce n’è ancora qualche copia da noi in negozio, tutte firmate dall’autore), come è da vedere il vino in atmosfera protestante. Penso che mia mamma non abbia mai messo piede in un pub, e vedeva con disgusto la presenza di alcol in tavola. Mio padre era più possibilista, e quando mi veniva a trovare in Italia passava senza riserve dal vino occasione al vino quotidiano.

E che tipo di vino occasionalmente beveva la famiglia Dickinson secondo te? Direi un claret di Bordeaux, dove claret, come Exhilirates, è un falso amico, perché vuol dire rosso carico. Potrei dire che la maglia del Toro è claret.

Errore, John. Il vino in casa Dickinson, festivo o sacramentale, era un Riesling del Reno, o un rosso rubino di Borgogna. Così nel 230:

We — Bee and I — live by the quaffing —
‘Tis’nt all Hock — with us —
Life has it’s Ale —
But it’s many a lay of the Dim Burgundy —
We chant — for cheer — when the Wines — fail —

Ultima citazione dal 1430:

The Banquet of Abstemiousness
Surpasses that of Wine

Concludo con la Dama Bianca. Non c’è gusto nel possibile. Il vino ci fa più ampi e accenna a una dimensione che è insieme incanto e condanna, è la poesia, è l’impossibile. Esso ti riguarda anche se non hai rango di poeta, uno spritz di rischio è sufficiente. Ma attento, superiore al banchetto del vino è fare a meno, chiamarsi fuori. Il fiore dietro casa è il nostro fiore.

Ora di dubitare

Tutto ciò che riguarda il pensiero si separa da noi con il corpo eterico che finisce nel mondo eterico esteriore. Ah se i consulenti di comunicazione si esprimessero in Steineriano! mi sentirei più a mio agio con il marketing, potrei  concepire questi post come corpo eterico aziendale.

Mascherina. Dovrò anticipare che non sia mai mettere in questione la loro utilità, per considerare che via mascherina assistiamo alla riduzione denotativa di quel po’ di espressività linguistica che ci fa umani, e italiani e precisamente quelli e perciò eterni, per ridurci a fungibili e statistici? E’ oltraggio assimilare mascherina alla cerca di sicurezza nella terra isolata, ultimo arnese del nichilismo? Sembra evidente che, tutti con mascherina, non solo non si protesta, ma neanche si dubita. (Ah le sardine in mascherina!)

Chiusi in casa. Ricordo a Giovanni che negli anni venti del secolo scorso si curava la Spagnola mettendo i letti di ospedale all’aperto, fidando nell’aria come disinfettante naturale e nel potere antivirale dei raggi solari (e non era la cura della Montagna Incantata?). Mi risponde quando la nostra famiglia era alimentarmente autosufficiente abbiamo avuto un vitellino con la polmonite. Un veterinario disse tanto vale sopprimerlo. Cambiammo veterinario. Il secondo disse toglietelo dall’aria della stalla e mettetelo all’aperto. L’animale si riprese e diventò un bel vitello. Oggi agricoli specializzati non abbiamo più tempo per la gallina il coniglio l’orto, e stiamo in coda con mascherina al minimarket giù alla curva per la verdura.

Assisteremo al ritorno dell’autosufficienza alimentare e al declino della specializzazione capitalistica? Sarà questo a intendere con riforma del capitalismo un ex Presidente del Consiglio che come pioniere meritò da Togliatti il commento ma questo non è un bambino, è un nano?

Paura. Per comprovate esigenze lavorative fatto qualche centinaio di kilometri per strade provinciali piemontesi, visto NESSUNO. Assistito oggi in piccolissimo borgo in Val Cerrina ad allontanamento di uomo maturo perché senza mascherina da proprietari anziani di negozio di alimentari, e insulti irriferibili da parte del primo ai vecchi commercianti evidentemente terrorizzati. Mangiavo panino illegale in parcheggio di fronte con pane acquistato lungo il percorso, atto impertinente alle comprovate esigenze. Tanta concreta paura mi fece paura. Quanto ci vorrà, dopo, per tornare ad abbracciare l’amico, baciare l’amante?

Disinfettanti. Ma non avevamo studiato che troppa pulizia nuoce alla salute, riducendo lo spazio di batteri che ci irrobustiscono? Possiamo vincere la battaglia dell’amuchina e perdere la guerra del microbiota. Unico comportamento ammesso in questo scenario di inimicizia con le cose sarà prima usare un disinfettante e poi ingoiare un fermento lattico, e ricominciare da capo.

E questa gara dei Poteri a occupare il posto di Padre Feroce? E questo avvicinamento al limite della Legge Marziale? Non ci sarà un domani anche per questo? Non è ora di non dico disubbidire ma almeno dubitare?

Unico sollievo, con tale difficoltà di approvigionarsi per chi non può o non vuole mettersi in coda al supermercato, è la rovina dell’enogastronomia per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi vent’anni, ecco dove vedo l’unica grande Semplificazione.

Vacanza in Provenza

Vacanza in Provenza, sì — algoritmo, ouh ALGORITMO! tu, titolato alle funzioni del capitalismo di sorveglianza, prendi nota: casa in prestito, spiaggia libera con borsina frigo e cena chez nous, non ti pensare.

Suv a profusione, campi da golf a destra e sinistra, economia da turismo e nient’altro da considerare lungo la strada — giardinieri, installatori di piscine, ristoranti mediocri, supermercati a ogni rotonda e tante rotonde. Un chilo di pomodori a 5 euri, albicocche 5 euri, pesche a 5 euri, il gasolio ormai come da noi. Ma come diavolo fanno?

Disintossicazione dal vino, birra indutriale per 15 giorni. Accompagnamento di conferenza di Rudolf Steiner sulle conseguenze dell’alcol — visioni di topi, sembra. Non ero ancora arrivato a quel punto, me ne sto tranquillo dunque. Ci proviamo giusto con due bottiglie di rosè, un IGP Mediterraneo — ah i francesi, sempre più avanti! — sembrava sputato il nostro chiaretto, me lo diceva Eligio che ne vendevano tanto in Francia. E un IGP Var, così carico di solfiti che non è bastata una notte in bianco a smaltirlo.

Disconnesso, ma non abbastanza che non mi arrivasse all’orecchio il bilancio 2018 di Eataly, in perdita ma tutto orientato al fatturato, come vuole la nouvelle vague. Rifletto sulla griglia di Bastiat, quello che si vede e quello che non si vede, i posti di lavoro creati e quelli distrutti. Sicuri che per il turista torinese sia meglio l’esperienza che può avere da Eataly di quella che poteva avere da Paissa?

Non si è mai abbastanza lontano da Farinetti, anche se qualcuno ci prova in Alta Langa, un posto ex marginale.

Debito

Nella vita si nota che esiste un “niente” e anche un “meno di niente”. Se abbiamo in tasca dieci marchi, possiamo sempre diminuirli, possiamo arrivare a cinque, quattro, tre, due, uno, e poi spendere anche quello. Si arriva così al niente. In questo campo esiste davvero un ben reale “meno di niente”. E’ anzi molto spesso una dura realtà, perché ognuno è certo contento di avere in tasca tre, quattro, cinque marchi, piuttosto di avere un debito di due, tre, quattro, cinque marchi. Questo è un meno di niente e nella vita pratica è una realtà forte ed efficace. La realtà del meno di niente può essere più forte della stessa realtà del possesso. (Rudolf Steiner, Le Basi Occulte della Bhagavad-Gita p. 98)

Che il debito sia peccato è un sentimento sempre meno condiviso, soprattutto da parte dei debitori. Non senza precedenti di peso: la legge mosaica proclamava un anno sabbatico ogni sette, in cui i debiti venivano cancellati. “Ogni creditore sospenderà il suo diritto relativo al prestito fatto al suo prossimo, non esigerà il pagamento dal suo prossimo o dal fratello, quando si sarà proclamato l’anno di remissione in onore del Signore” (Deuteronomio, 15:2).

Una contabilità in atto del debito globale raffigura in modo impressionante una macchina fuori controllo, in cui l’unico modo di pagare il debito è indebitarsi di più, gigantesco Schema Ponzi che non reggerebbe senza la moneta a corso forzoso e oscuri libri contabili, custoditi non più in cielo ma a Francoforte o New York.

Da fardello o macchia il peccato diventa debito da saldare con il giudaismo del Secondo Tempio. Nel Libro di Tobia l’elemosina permette di accumulare un tesoro nel cielo, e il Padre Nostro è in continuità con questa idea. Il Welfare State spossessa i laici della possibilità di salvarsi e per la Riforma la salvezza avviene per sola gratia. E’ inessenziale che l’uno e l’altra nascano nell’Europa della Birra?

Sul campo intanto succede che le cooperative di lavoro agricolo, così importanti per la viticoltura italiana, scarseggino anch’esse di manodopera. Il macedone torna a casa, o si dirige in Germania, dove la paga è più alta e comprende alloggio e asilo per i figli, non c’è neanche più bisogno del permesso di soggiorno, basta il passaporto. Fra tre anni avremo la potatura ivoriana, con che risultati è difficile dire.

Non so se c’è un’alternativa a un lungo periodo di una frugalità simile a quella dei miei nonni, ma dalla modesta ridotta di negozio fisico, in città con rating BBB- e regione con rating Ba1, mi sento di dire che siamo già lì, piccola barricata del potere d’acquisto, anello che non molla della languida catena dei costumi alimentari fra le generazioni.

Risparmio

Nella vecchia sede della Cassa di Risparmio di Torino in via XX Settembre, oggi Unicredit, concepita internamente come un tempio greco, sui quattro lati rilevate in bronzo stanno le parole

MDCCCXVII QUAE LEGO QUAE SPARGO SEMINA MULTIPLICO MCMXXXIII

NELLA VOLONTA’ TENACE DEL POPOLO ITALIANO DI LAVORARE E RISPARMIARE E’ UNA SACRA GARANZIA DEL SUO AVVENIRE

DIETRO OGNI RISPARMIATORE VI SONO ALTRETTANTE SANE FAMIGLIE CHE FORMANO IL NERBO DELLA NAZIONE

IL RISPARMIO E’ UNA COSA SACRA E SI AMMINISTRA CON SCRUPOLO RELIGIOSO

A qualche isolato di distanza, in via San Francesco d’Assisi, Intesa San Paolo ha dato vita 80 anni dopo al Museo del Risparmio, nella vecchia sede centrale, prima di trasferirla nel grattacielo che insieme a quello della Regione Piemonte (l’Occhio di Sauron) marca, come vollero giunte di sinistra, lo skyline della città. Grattacielo già fatiscente prima ancora di terminarsi e caratterizzato dalla curiosa soluzione di avere un ristorante all’ultimo piano e la cucina negli scantinati, in modo che i piatti non si risparmino prima di arrivare in tavola.

Museo del Risparmio, quanto è appropriato quest’esito della cosa sacra, quando ormai il risparmio, quello piccolo almeno, è — più che impossibile, inutile! Quello che non ti ha raschiato via il Grande Croupier, lo Stato, ti sarà legalmente depredato dal suo compare, la Banca. Interessi zero, anzi negativi! Obbligo di conto corrente! Cashless society!

E’ il Museo del Risparmio, come vogliono i tempi, assai multimediale, in modo da piacere ai giovani e teneri cervelli, frequentatissimo da scolaresche, prone all’indottrinamento democratico e keynesiano. L’inflazione è dei prezzi e determinata dal mercato, non della massa monetaria e determinata dalle banche centrali, tanto per dire. Giustamente concepito come dispiegamento delle mille pieghe dell’opinione, non sia mai un minimo squarcio della tela.

Così sta tra le scritte della prima sala, graficamente disposte, questa frase di Winston Churchill

IL RISPARMIO E’ UNA BELLA COSA. SPECIE SE A RISPARMIARE PER TE SONO STATI I TUOI GENITORI.

Parole profetiche nella città del debito, contratto da chi ama stare sotto in ginnastiche sessuali ma sopra quando si tratta di pagarlo. La nouvelle vague amministrativa si dimostra sul tema mero ricambio generazionale, con un di più di rancore, invidia sociale e ipocrisia (ah le multe perché giuste!). Siamo sempre là, Tutto Per lo Stato, Tutto Nello Stato, Niente Al Di Fuori dello Stato, altro che antifascismo militante.

Rimedio universale, naturalmente, la comunicazione, o una app, come dice la Bugiarda. L’ultima idea dell’assessorato, nel piano di riqualificazione di via Nizza, è la realizzazione di un’app: pedoni e automobilisti, passando davanti ai negozi, riceveranno sullo smartphone messaggi con offerte e promozioni. Via Nizza insomma «diventerà una via smart», promette Maria Lapietra, assessora alla viabilità.

E sarebbe divertente vivere in un posto del genere?

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Ma per cortesia, me ne vado una mattina in campagna, dopo aver dimenticato a casa il vecchio Nokia, a incontrare il padrone di un furgone sequestrato dai municipali di Ovada per divieto di sosta, cantiniere di una piccola cooperativa, certificato bio ma niente foglia verde in etichetta, perché comunicare è aver già comunicato. Dove valgano dei principi di giusnaturalismo e un bianco sia a lunga macerazione perché si possa difendere da solo, e dove in un angolo stia un vino per caso, una botte di dolcetto 2012 senza solfiti aggiunti pieno in bocca come un piccolo amarone, che prenoterò per il prossimo settembre.

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Nebbiolizzazione

Avviene una nebbiolizzazione del Piemonte, espressione sentita per la prima volta sulla bocca di Sandro Barosi. Vi concorrono ragioni di mercato, i viticoltori estirpano dolcetto per piantare nebbiolo ingolositi dal prezzo. Sono vittime di mode o razionali calcolatori delle forze in scena? Vi ha infatti ruolo di primo piano la Regione, con costruttivistico progetto di sporgere il Piemonte vinicolo sui mercati esteri, a confrontarsi con una Borgogna Pinot Nero, un Bordeaux Cabernet Sauvignon.

A monte le diagnosi sbagliate dell’economia pianificata, a valle controlli ferrei, sistematiche visite di polizie, incremento metodico di costi via regolamenti. E’ così che si incentivano gli uni e si scoraggiano gli altri, così si creano i deplorables agricoli, i left behind di campagna, i forgotten men del Piemonte eccentrico. Piemonte o Langhe Nebbiolo? La lotta è al coltello, secondo rumors i carabinieri che hanno contestato la frode al presidente del Consorzio del Barolo non arrivano da Alessandria per caso.

Nas attivi anche con i piccoli, vanno gentilmente da Giorgio Sobrero a prelevare campioni per analisi del DNA, che sul mercato valgono 700 euri ciascuna, e stabiliscono che uve, se zucchero o acqua aggiunti. Sobrero gentilmente considera che l’effetto combinato dei disciplinari, che impongono il diradamento; del clima, che alza il grado al limite; dei controlli sul tasso alcolico, che vogliono lo zero, mette il produttore nella gentile posizione di Houdini in catene sott’acqua.

Per andare da Sobrero mi fermo da Destefanis a ritirare un campione. Gianpaolo non c’è, la mamma mi offre un caffè. Noto padella sul putagè, che bolle su fuoco alto, chiedo cosa prepara. Il dado. Mezzo chilo di tutto, cipolla carote sedano carne, un’erba che non ricordo, sale q.b. Cottura a restringere, poi si passa, si imbarattola caldo e dura un anno. Il problema sono le verdure, una volta erano più secche e gustose, oggi una carota vale un sedano, il più è acqua. E impestate più della carne. Mentre giro il cucchiaino mi chiedo se in un’orizzontale alla cieca troverei il dado di Miss Dado più buono di questo dado degli ultimi giorni.

Nebbiolo Natale

Nebbiolo da qui a Natale, bella notizia perché stare senza è come giocare senza il centravanti titolare.

Riepilogo i fatti: da un anno non proponiamo nebbiolo, perché ha preso dei prezzi all’ingrosso troppo alti. Potrei girare gli aumenti sul prezzo di vendita, ma qui entra in gioco la visione di fondo — non credo tanto così alla ripresa, nè mondiale, nè americana, nè italiana, il sistema è insostenibile, è uno schema Ponzi questo sì globale, in cui si cura il debito con più debito e l’unica colla che lo tiene insieme è il monopolio della forza e l’universale manipolazione. Perché dovrei cedere sul prezzo del nebbiolo e far finta che un mercato ancora esista? Al diavolo, amico! Al primo posto sta il tuo e mio potere d’acquisto, non mancano le cose buone e sostitutive.

Questo nebbiolo-natale è da zona eccentrica, Albugnano, la più piccola doc italiana. E’ un po’ più scuro di quello di Langa, meno viola al naso forse, ma ci sono altre cose e una personalità giovanile e atletica, senza essere muscolosa. Mi piace molto. E non credere che sia il primo e unico, dalla Langa vengono ad Albugnano ad acquistare le uve se non il vino, a prezzi che qui non si sono mai visti, alla faccia del prodotto territoriale.

La provincia di Asti vorrebbe il Piemonte Nebbiolo, la provincia di Cuneo resiste per ovvi motivi. Io non saprei per chi votare, come per il più famoso referendum, il più pulito ha la rogna. Si potrebbe andare al mare, il mare d’inverno è così elementare, spaesa e guarisce.

Nascetta

Lo incontro da Doglia. Flavio Bera, piacere. Di Treiso. Zona di Barbaresco… Sì, ma noi non facciamo Barbaresco, invece Dolcetto e Nascetta. Ah Nascetta, la bevvi di Cogno 10 anni fa, ma la chiamavano nas-cetta. Sì, con la dieresi sulla e. Ma questa nominazione è riservata a quelli di Novello, gli altri, saremo una ventina di produttori, la chiamano Nascetta.

Il vino si apre di agrumi, passi a delle cose vegetali, poi col tempo espone dei tratti minerali. Ma se è così buono, come mai era sparito? C’è voluta l’Università di Torino per rimetterlo in circolazione. Perché è un vitigno difficile. Difficile in vigna, se non lo poti bene e per tempo, scappa in una esuberanza di vegetazione controproducente, difficile alla raccolta, ché l’uva tende a marcire improvvisamente, difficile in cantina, se pressi troppo vengono fuori degli aspetti che non funzionano bene.

Se dovessi dire cosa mi ricorda, direi il Riesling, gli trovo una simile evoluzione nel tempo.

Parliamo di Nebbiolo. Lo vede come un vitigno con una personalità tale che gli permette di cavarsela anche in situazioni complicate, là dove altri vitigni vanno in crisi — come il Dolcetto, così delicato.

I vitigni lo appassionano. Tiene una sua vignotta sperimentale di sei vitigni rari autoctoni. C’è anche il baratuchat, e altri nomi che non ricordo, tutti bianchi. Si entusiasma al pensiero del numero di varietà presenti in Italia, un numero così alto, 6500 ne ha contati l’Università.

Parliamo di debito. E’ per un giubileo del debito, si stampi moneta abbastanza, non si capacita che ci sia qualcosa che lo impedisce. Io invece sono per una moratoria delle politiche economiche e monetarie, e per onorare il debito. Mi lascia recitando il Padre Nostro, rimetti a noi i nostri. Che potevo fare se non tacere, eventualmente mansueto sorridere.

Sharmelsheikizzazione

copertina_mozzarelle_o2Promuovo questo libro senza far mio l’armamentario concettuale. Nella fotografia dell’odierno spazio-tempo non vedo capitalismo ultraliberista di sorta, traduco anzi così il Presidente del Consiglio che in Borsa va a dire il capitalismo di relazione è morto: il capitalismo delle VOSTRE relazioni è morto, il capitalismo delle NOSTRE relazioni è vivo e vegeto.

Non vedo similmente austerità come causa. La spesa pubblica è in salute smagliante, le tasse anche di più, gli unici tagli sono alle deduzioni. Non sono varoufakisiano, iscritto da un pezzo al partito del non ce la facciamo, non vedo uscite e semmai individuali.

Non vi si parla di tasse. Peccato, perché la pratica fiscale del Genio del Marketing, o qul di frigu, come viene chiamato in sprezzatura nella Provincia Granda, è di certo rilievo. Nella polarizzazione tra precari e padroni, sarei più interessato alle fosse comuni dei kulaki della classe media.

Ciò detto, il libro è sistematico, come merita il suo oggetto, e pieno di fatti e di opinioni e di numeri, interessantissimo per i torinesi. Titolo cervellotico, che allude a un certo passo di Marx sul feticismo della merce, l’argomento è relegato al sottotitolo — lo slowfoodismo fatto sistema, la Matrix gastronomica.

Alti cibi

chirubaPubblichiamo un pezzo di discussione su Eataly avvenuta su slowit, con la nostra opinione e quella del coordinatore. Dopo una visita sul campo, posso dire con cognizione di causa che, nonostante l’ottimo lavoro di Negozio Blu, non si tratta di un’esperienza diversa da quella che puoi avere in un supermercato qualunque, e che paghi un alto prezzo per un alto cibo avvolto in alta ipocrisia.

To: SlowIt@yahoogroups.com
From: “Francesco Venier” <vf@libero.it>
X-Yahoo-Profile: il_coordinatore_di_slowit
Sender: SlowIt@yahoogroups.com
Mailing-List: list SlowIt@yahoogroups.com; contact SlowIt-owner@yahoogroups.com
Delivered-To: mailing list SlowIt@yahoogroups.com
Date: Thu, 01 Feb 2007 17:16:59 -0000
Subject: [SlowIt] Ogg: Slowfood entra nel business dei parchi a tema?
Reply-To: SlowIt@yahoogroups.com
X-Yahoo-Newman-Property: groups-email-trad

Marco,
Sono d’accordo con le tue valutazioni ma mi pare manchi un pezzo al
tuo discorso.

SF, volenti o nolenti, e’ gia’ un brand
(http://it.wikipedia.org/wiki/Marca) nazionale piuttosto forte.  Se
vovessi farne una valutazione commerciale a spanne direi cha ha un
valore come minimo di 50.000.000 di euro.

La sua credibilità, quindi il suo valore, deriva dal disinteresse e
dalla passione di tutti coloro che hanno contribuito a costruire
l’associazione.

Finora SF ha usato la forza del suo brand soprattutto per sostenere
l’educazione al gusto, le piccole produzioni (creando anche qualche
mostro) e, che io sappia unico momento di relativa monetizzazione del
brand, organizzare i saloni in cui a mio avvisola finalità economica
rimane comunque in secondo piano rispetto a quella educativa.

Eataly è a mio avviso un punto di svolta.  Posto che non sono sicuro
che SF percepisca delle royalties per l’uso del marchio (che non ha
nulla a che vedere con la consulenza), ma lo do per scontato
altrimenti sarebbe una assurda regalia a chi non ne ha bisogno, si
tratta della prima volta che al massimo livello l’associazione
istituzionalizza la commercializzazione del suo brand (cosa peraltro
ampiamente fatta in piccolo da molti fiduciari specie all’estero).

Se questo, una volta pagati i “consulenti” di Eataly, produrrà
maggiori risorse per l’associazione che saranno incanalate in modo
coerente rispetto alla mission di SF, ovvero proprio per sostenere la
varietà ed i piccoli produttori che sono tagliati fuori dai sistemi
della distribuzione organizzata e dai megastore più trendy, per me è
una operazione buona.

Ciao a tutti,
Francesco

— In SlowIt@yahoogroups.com, Marco Ferro <marcoferro@…> ha
scritto:
>
> Salute a tutti,
>
> e’ la prima volta che intervengo e cerchero’ la sintesi: Eataly a
> partire dal suo nome globalizzato e’ un’espressione titanica di
> volonta’ di potenza e nichilismo, che non fara’ bene ne’ alle citta’
> ne’ ai piccoli produttori.
>
> Con la connivenza delle pubbliche amministrazioni, il sostegno delle
> banche e la partecipazione della Lega delle Cooperative creera’ altri
> 10, 100, 1000 santuari artificiali per il passeggio concentrato di
> umanita’ inconcludente, favorendo il controllo sociale,
> l’omologazione dei comportamenti e la desertificazione commerciale
> degli altri quartieri. Auchan a nord, il Bennet a est, le Gru a
> ovest, Farinetti a sud e niente in mezzo: e’ cosi’ che i municipi
> amano le loro citta’.
>
> Un effetto mediatico di Eataly sara’ di convincere che l’enciclopedia
> dei prodotti cola’ selezionati esaurisca il mondo della qualita’,
> sara’ come il diserbante sparso con l’elicottero sulla biodiversita’
> dei piccoli produttori assenti o resistenti.
>
> I piccoli produttori peraltro se lo meritano, perche’ quelli presenti
> a Eataly avranno accettato il contratto standard di Farinetti: mi dai
> un bancale all’anno per tre anni, il primo bancale meta’ te lo pago
> con sconto 10 e meta’ me lo regali. Con un po’ di aritmetica, vuol
> dire uno sconto del 27% — capito enoteche? mentre voi pagate a
> prezzo di listino… E la piantino Carlin e Farinetti con i ricarichi
> giusti in conferenza stampa, che nessuno se li puo’ permettere alti
> come Eataly.
>
> Ci sono nel progetto delle contraddizioni tali che possono stare in
> piedi solo contandosi delle gran balle, e che meritano l’augurio
> collettivo che la cosa non prenda troppo piede.
>
> Saluti,
>
> Marco Ferro
> ———–
> www.vinologo.it
>
>
> > Ciao Francesco,
> >
> >Per carità! Il buon Sergio non c’entra nulla. Nemmeno Slow Food a
> >dire il vero, nel senso che Eataly si propone di aprire in 10
città
> >d’Italia che sono le più grandi del nostro paese, salvo forse
Verona
> >che viene proposta anche in virtù di altri elementi (per la
> >posizione, perché è la città di Vinitaly, perché il Veneto non ha
> >altre sedi in ipotesi).
> >Comunque, approfitto dell’occasione per aggiungere a quanto è già
> >scritto nel nostro comunicato che l’obiettivo di Eataly non è
quello
> >di ricadere nelle logiche “massificanti” ma bensì di ampliare il
> >pubblico di fruitori di cibi di qualità. Dove per qualità non si
> >intendono (solo) le eccellenze assolute, ma più in generale
prodotti
> >buoni, più buoni di quelli che si trovano normalmente nella grande
> >distribuzione.
> >Per fare ciò Eataly si propone di puntare molto sulle produzioni
del
> >territorio in cui nasce, e quindi ogni nuovo Eataly dovrà sapersi
> >guardare attorno.
> >Per costruire il team di fornitori del punto vendita di Torino si
è
> >lavorato 3 anni, partendo quindi da lontano. Per gli altri ci
vorrà
> >meno tempo ma sicuramente non assisteremo all’apertura di un nuovo
> >Eataly tra pochi mesi.
> >Noi di Slow Food non siamo entrati nel business (stiamo fornendo
una
> >consulenza sull’individuazione dei potenziali fornitori e sulla
> >parte didattica) e ci auguriamo che Eataly sappia mantenere la
> >propria promessa. Se così sarà, continueremo a collaborare.
> >La prima volta che passi da Torino vallo a visitare, così potrai
> >giudicare questa prima tappa del progetto.
> >Un saluto,
> >
> >Cinzia
> >
> >
> >
> >
> >
> >Cinzia Scaffidi
> >Slow Food
> >Via Mendicità 14
> >12042 Bra (Cuneo) – Italia
> ><http://www.slowfood.it>http://www.slowfood.it
> >
> >
> >
> >
> >Ciao a Tutti,
> >
> >Qualcuno ha visitato Eataly (vedi articoli e CS SlowFood in
calce)?
> > Da quello che leggo è una specie di parco a tema sul top-food.
> > Alla prima occasione vengo a Torino a farmi un giro.
> >
> >Certo che si corre un po’ il rischio di ricadere nelle logiche
> >”massificanti” per combattere le quali SF è nato non vi pare?
> >
> >Leggo che la rampante iniziativa ha progetti di espansione
piuttosto
> >ambiziosi  ma Trieste è lasciata fuori.  Sarà mica colpa di Sergio
> >che si rifiuta di tenere a battesimo l’eventuale filiale locale
> >J
> >
> >Un saluto a tutti da Francesco Venier
> >
> >
> >
> >27-01-2007
> >
> >ITALIA OGGI
> >Qualità, nasce Eataly … Un nuovo business messo in campo da
> >Slowfood e Coop. Da Torino una catena di food-viliage… Torino,
> >nell’ex opificio Carpano, a pochi passi dal complesso
polifunzionale
> >del Lingotto, è nato Eataly, il primo grande mercato dedicato agli
> >alti “cibi”, dove l’enogastronomia di qualità, soprattutto
> >piemontese, ma più in generale italiana, con qualche concessione
> >all’Ue, incontra i prezzi sostenibili tipici della grande
> >distribuzione.
> >Il tutto all’insegna del motto, di Wendell Berry, il celebre
> >contadino- poeta del Kentucky, divenuto famoso anche grazie a Slow
> >food, secondo il quale “mangiare è un atto agricolo” e quindi, in
> >buona sostanza, il primo gesto agricolo lo compie proprio il
> >consumatore scegliendo ciò che mangia. E per la prima volta in
> >Italia all’enogastronomia di qualità è dedicato un luogo dove è
> >possibile l’incontro con il consumo di massa o comunque non più di
> >nicchia. Eataly non sembra però destinato a rimanere un caso
> >isolato: dopo Torino la proprietà ha annunciato aperture a Genova,
> >Milano, Verona, Bologna, Firenze, Napoli, Bari e Palermo. A oggi
si
> >tratta comunque di un luogo certamente unico dove si può comprare,
> >mangiare e imparare a riconoscere il cibo di qualità, ad
apprezzano
> >a tavola, ma anche a cucinano a casa grazie ai corsi di cucina
> >curati da grandi chef piemontesi. Eataly è nato da un progetto
> >dell’imprenditore Oscar Farinetti, con la consulenza tecnica di
Slow
> >food (ieri all’inaugurazione ufficiale era presente anche il
> >presidente, Carlo Petrini) e la partecipazione di tre grandi
> >cooperative: Coop Adriatica, Coop Liguria e Novacoop Piemonte.
> >Eataly occupa una superficie di circa 11mila metri quadrati
> >all’interno della storica fabbrica dei vermouth Carpano dismessa a
> >metà anni 90 e completamente ristrutturata nell’arco di tre anni,
> >sotto il vincolo della Soprintendenza. All’interno dell’ex
opificio
> >vi sono 3.200 metri quadrati destinati ad aree didattiche, 2.450
> >metri quadrati per la vendita e la somministrazione del cibo (con
un
> >ristorante di livello nel seminterrato e tanti piccoli ristoranti
> >tematici informali dove è possibile degusta,re sul posto ogni
> >prelibatezza in vendita) e 820 metri quadrati destinati a percorso
> >coperto aperto al pubblico.
> >Le aree di vendita sono tematiche: il pesce, la carne
(rigorosamente
> >del Cuneese), i formaggi e i salumi (accanto alla vendita al banco
> >sono presenti sale di affinazione nel seminterrato), la frutta e
la
> >verdura, il caffè e il tè, il gelato artigianale, la pasta fresca
e
> >la pasta secca di alta qualità, il pane e i dolci appena sfornati
> >cotti in un forno a legna in pietra da un cuoco francese, i vini
> >(oltre 40 mila bottiglie), la birra da tutto il mondo con alcune
> >presenze significative di piccoli birrifici artigiani piemontesi.
> >Non solo. Una biblioteca tematica ospiterà a regime mille volumi
> >ispirati al mondo del cibo e numerose riviste di settore e una
> >capiente sala conferenze da circa 200 posti consentirà di
sviluppare
> >urta significativa attività convegnistica.
> >Autore: Alessio Stefanoni
> >
> >
> >27-01-2007
> >
> >IL SOLE 24 ORE
> >Eataly, megastore di enogastronomia … Alimentare. Parte dal
> >Lingotto il progetto di Farinetti: una catena dedicata ai prodotti
> >tipici… Da New York sono in tanti ad aspettarne l’arrivo. Ma per
> >il debutto di Eataly, il più grande centro enogastronomico del
> >mondo, Oscar Farinetti, piemontese, 52enne, ex-presidente di
> >Unieuro, ha scelto proprio l’Italia. E ha scelto il Lingotto di
> >Torino dove ieri sono stati inaugurati oltre 10mila metri quadrati
> >di sapori e prelibatezze: tutti rigorosamente italiani. La
location
> >è un edificio storico caro ai torinesi, la sede della fabbrica
della
> >Carpano, datata 1780, dove nacque il “Punt e mes” e oggi l’inizio
di
> >una catena di io megastore enogastronomici concepiti secondo una
> >formula nuova.
> >Tutto per promuovere il meglio dell’alimentare italiano a prezzi
> >accessibili. Dal punto di vista finanziario la società Eataly
> >Distribuzione è partecipata al 60% dalla holding della famiglia
> >Farinetti e per il restante 40% da Coop Liguria, Coop Piemonte e
> >Coop Adriatica. Eataly Distribuzione investirà 20 milioni di euro
> >per ogni megastore aperto.
> >«Eataly è un progetto nato tre anni fa per la vendita su Internet
> >dei prodotti artigianali italiani di massima qualità – dichiara
> >Farinetti -. È l’unione di piccoli produttori che da generazioni
in
> >generazione creano cibi e bevande di altissima qualità in piccole
> >quantità selezionati in collaborazione con Slow Food». Lo spazio
> >Eataly è cosa diversa da una semplice show-room del palato perché
> >riunisce in una cornice elegante 3mila metri quadrati per la
vendita
> >al pubblico di specialità, otto ristoranti, due bar caffè, una
> >agrigelateria e dieci aree didattiche con una grande biblioteca
> >dotata di 10 personal computer e internet. Qui i clienti possono
> >imparare a cucinare, accostare, mangiare e scegliere il meglio del
> >made in Italy. E un’agenda tra corsi di cucina con chef famosi e
> >presentazioni di oltre 200 eventi per il 2007.
> >Farinetti ha creato in tre anni una rete di raccolta e
> >valorizzazione dei prodotti artigianali alimentari di pregio
> >acquistando piccole aziende di altissimo livello come il
pastificio
> >di Gragnano, una dozzina di salumifici e aziende agricole
> >artigianali oltre a una serie di partecipazioni in altre aziende.
E
> >dopo Torino, in attesa dello sbarco a New York dove uno dei
maggiori
> >immobiliaristi di Manhattan, appassionato dell’Italia e della sua
> >gastronomia, tiene pronto un grande spazio al Rockfeller Centre.
> >Poi, per quanto riguarda ancora l’Italia, arriveranno i 7mila
metri
> >quadrati della Stazione marittima di Genova restaurata in
occasione
> >del G8 e quindi Milano, Verona, Bologna, Firenze, Roma, Napoli,
Bari
> >e Palermo, ciascuno con un investimento intorno ai 20 milioni di
> >euro. «Tempi e modi dipenderanno anche dai risultati di Torino –
> >puntualizza Oscar Farinetti – ma ce la faremo, siamo molto
> >fiduciosi».
> >Autore: Paola Guidi
> >
> >
> >
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> >Comunicato stampa di SlowFood.
> >
> >
> >
> >  Italia – 26/01/2007
> >  L’apertura di Eataly a Torino
> >
> >
> >  Dopo quattro anni di lavori, e accompagnato negli ultimi giorni
da
> >grande attesa e curiosità, finalmente apre Eataly, nello storico
> >edificio che ospitava la Carpano, in via Nizza a Torino. Là dove è
> >nato il vermouth, la cui storia è ricordata nel museo che Eataly
ha
> >realizzato e ora ospita al suo interno. A pochi passi dal
Lingotto,
> >dove tre mesi fa si sono celebrati Salone del Gusto e Terra Madre.
> > Si può dire che Eataly è figlio del Salone del Gusto (c’è chi
l’ha
> >definito un Salone che dura tutto l’anno) o se preferite un figlio
> >del percorso fatto da Slow Food in vent’anni. Eataly sarebbe nato
> >anche senza la collaborazione di Slow Food, magari non a Torino,
> >magari non uguale, ma non necessariamente meno bello.
> > Eataly sin dall’inizio ha cercato la collaborazione di Slow Food,
> >sia perché riconosceva nella nostra associazione la propria fonte
> >d’ispirazione principale, sia perché il creatore di Eataly, Oscar
> >Farinetti, è di Alba ed è amico di Carlo Petrini da oltre
trent’anni.
> > Prima di proseguire occorre però fornire qualche altra notizia.
> >
> > Ci sono due grandi temi sui quali all’interno di Slow Food ci si
> >confronta ormai da quasi dieci anni: l’opportunità di creare un
> >marchio per i prodotti dei Presidi; la possibilità di impegnarsi
> >direttamente nella commercializzazione dei prodotti dei Presidi.
> >Temi ricorrenti non solo nelle riflessioni fatte in seno
> >all’associazione, ma spesso oggetto di domande da parte di
> >giornalisti e interlocutori esterni. Temi legati tra di loro ma
> >soprattutto temi presenti, più di ogni altro argomento, nelle
> >richieste che i produttori – tanto del nord quanto del sud del
mondo
> >- rivolgono alla nostra associazione.
> > Al quesito legato alla creazione di un marchio abbiamo dedicato –
> >oltre a tante discussioni – la gran parte dell’incontro con i
> >produttori dei Presidi italiani che abbiamo fatto nel maggio 2005
in
> >Sicilia. E non siamo ancora arrivati a una conclusione, tanto che
> >l’argomento è ancora tra i più gettonati sia in eventi ufficiali
che
> >in momenti informali che ci vedono confrontarci con il mondo della
> >produzione. Ad oggi non abbiamo mai considerato opportuno
occuparci
> >direttamente della realizzazione e gestione di un marchio, ovvero
> >della certificazione dei prodotti, che sarebbe anche un bel
business
> >ma rischierebbe di incidere in modo piuttosto pesante
sull’identità
> >e la mission di Slow Food. Anche perché quello che fa Slow Food in
> >Italia poi lo ripetono Slow Food Usa, Slow Food Germania, Slow
Food
> >Giappone, eccetera. Quindi, dovesse mai arrivare il giorno in cui
si
> >prenderà questa decisione, bisognerà avere costruito un percorso
> >assolutamente ineccepibile in tutti i suoi passaggi.
> > Ugualmente, rispetto al tema della commercializzazione dei
prodotti
> >siamo sempre stati convinti che non fosse opportuno entrare
> >direttamente in pista, ovvero realizzare nostri punti vendita o
> >comunque commercializzare noi stessi i prodotti. Per gli stessi
> >motivi di cui sopra: il business sarebbe garantito, ma la
> >possibilità di mantenere un ruolo super partes rispetto ai singoli
> >produttori diventerebbe certamente più complicato.
> >
> > Ciò detto, risulta evidente che non è possibile evitare un
> >confronto su questi temi quando le sollecitazioni sono quotidiane,
e
> >quando arrivano in modo particolare da quei produttori con i quali
> >ci siamo proposti di dialogare per individuare interventi utili a
> >contenere il quotidiano depauperamento del nostro patrimonio
> >alimentare. Siamo stati noi a cercarli, già a partire dai primi
anni
> >’90; siamo stati noi a sollecitarli affinché recuperassero il loro
> >impegno in ambito produttivo, garantendo che avremmo creato
> >l’attenzione del pubblico necessaria per ritrovare il mercato. A
noi
> >loro chiedono ancora oggi un aiuto per stabilire un rapporto con
> >questo mercato che non ha ancora definito del tutto né una nuova
> >figura di consumatore (quel co-produttore che ci immaginiamo
proprio
> >noi di Slow Food) e che sta cercando il luogo in cui realizzarsi,
> >tra mercati contadini da un lato e grande distribuzione che si
> >contamina (almeno per l’immagine) con prodotti tipici e
d’eccellenza.
> >
> > In questo quadro si colloca Eataly.
> > Oscar Farinetti si è presentato quattro anni fa con un progetto e
> >alcuni disegni che di diverso da quello che si può finalmente
vedere
> >oggi avevano solo la sede, nel senso che non era ancora stato
scelto
> >Palazzo Carpano. E nemmeno Torino, a dire il vero, alla cui scelta
> >ha contribuito in maniera determinante proprio Slow Food.
> > Il progetto ci è piaciuto moltissimo, da subito. Ci siamo
> >confrontati in seno ai nostri organismi dirigenti (Segreteria
> >Nazionale e Consiglio dei Governatori) in merito alle due
decisioni
> >che dovevamo prendere e che abbiamo preso poi all’unanimità: la
> >prima riguardava la proposta di collaborare al progetto, e come
> >evidente abbiamo deciso per il sì; la seconda era la proposta di
> >entrare nella compagine sociale, come ci era stato proposto, e
> >abbiamo optato per il no. Ovvero abbiamo deciso che era giusto e
> >importante fornire un contributo in termine di know-how legato
alla
> >conoscenza di prodotti e produttori (abbiamo realizzato un enorme
> >database a cui Eataly attinge per trovare i propri fornitori) e in
> >termine di attività educativa, che ci vedrà partecipare
soprattutto
> >nell’attività dedicata alle scuole, che partirà in autunno. Poi ci
> >sono anche i Presidi, come ovvio, ma era per noi centrale fornire
un
> >contributo a tutto il progetto, anche per misurarci su altre
> >produzioni.
> > La scelta di non diventare soci di Eataly e di limitarci a un
> >rapporto di consulenza, rinnovabile annualmente in base alla
> >reciproca soddisfazione dei due partner, ci è sembrato più
corretto
> >rispetto a chi siamo e cosa dobbiamo fare. Fornire una consulenza,
> >invece, lo consideriamo in linea con gli scopi che si propone la
> >nostra associazione. Slow Food non avrebbe mai potuto fare Eataly,
> >nemmeno volendolo. Ma per fortuna c’è un imprenditore che ci ha
> >creduto e ha provato a farlo, così come negli anni passati ci sono
> >stati tanti altri uomini e donne che, spinti dal nostro lavoro,
> >hanno avviato imprese di successo. Certamente questa è una
scommessa
> >più grossa, la più importante a cui abbiamo assistito sino ad ora:
e
> >anche per questo dal suo successo dipenderà nei prossimi anni un
> >cambiamento non da poco nel mondo della produzione e della
> >distribuzione alimentare, almeno nel nostro paese. Un cambiamento
in
> >meglio, ovviamente, che aspettavamo da tanto tempo e che il solo
> >lavoro di Slow Food non sarebbe stato sufficiente a determinare.
> > A voler essere ottimisti – come è giusto essere nonostante le
> >catastrofi annunciate per il futuro del nostro pianeta – ci sarà
da
> >divertirci. Soprattutto per degli inguaribili amanti delle cose
> >buone (come noi di Slow Food).
> > In conclusione è giusto ricordare ancora una volta che Eataly non
è
> >di Slow Food (come qualcuno erroneamente crede) e Slow Food non è
di
> >Eataly (come qualcuno sciaguratamente teme).
> >
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Slowit: la comunita’ online dei soci Slow Food.
http://it.groups.yahoo.com/group/SlowIt

Il BLOG delle Condotte: www.slowfoodblog.com/it
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