Cotto

Forzandomi all’utilità più che all’espressione, tralascio il disgusto — per le piccole carriere dell’organolettico, i corsi che lo insegnano e le guide che lo praticano davanti a vuota platea, per i trucchi di cantina e più quelli legali, ma anche per le fiere di vini bio, più numerose dei dipendenti comunali. Per il rapporto da 1 a 10 tra la tassa rifiuti che paga un residente a Bruxelles e un residente a Torino, per il rapporto da 80 a 100 tra i km che faccio io e quelli che fa lui con la stessa cifra. Per Bisanzio la settimana prima che entrino i Turchi. Per questo stesso post — e parlo di un libro.

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La ragione per cui cerco di diffondere Cotto di Michael Pollan sta nel sostegno morale estetico e oserei dire organolettico all’atto di prepararsi da mangiare e di mangiare a casa. Che siano vere a un tempo le due cose, che il reddito disponibile è minore (metodico trasferimento di ricchezza dal privato al pubblico) e che si mangia fuori sempre di più, costituisce una di quelle misteriose contraddizioni che crescono da dentro come una verza, componente l’insostenibile della nostra storia.

Dopo Cotto, braserai più consapevole che soffriggere e attendere le virtù del fuoco basso è pure una cura dell’anima. Metterai nel cassetto il sogno di arrostire sulle braci un maiale intero, regredendo alla tribù intorno al fuoco ipnotico. Ti coinvolgerà il movimento post-pasteuriano dei fermentos, sentirai l’amicizia del batterio. Rimpiangerai di non avere il tempo di farti il pane.

Un libro anti-industria, in fondo anche contro quella specializzazione del lavoro che è premessa insieme alla simpatia e allo scambio tra uomini, e perciò adattissimo al medioevo che viene.

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