Quest’anno non ho potuto fare un breve soggiorno nella Francia profonda e mi mancano due cose, non aver mangiato una baguette e non aver bevuto una bottiglia di Viré Clessé Cuvée Pochon. Non che si trovino in Francia buone baguette ad ogni angolo di strada, ma qui sì.
La baguette nasce a Parigi dopo la Prima Guerra Mondiale come un pane di lusso e diventa velocemente popolare, anche se ci mette cinquant’anni a penetrare nella Francia periferica. Combinava una serie di innovazioni — molitura efficiente, lievito commerciale, impastatrice meccanica, forno con iniettore di vapore, forma lunga e fermentazione diretta — che facevano risparmiare gran tempo. Baguette vuol dire che in ogni morso c’è del croccante e del tenero insieme, crosta che sa di noci e mollica che sa di burro. Fa male, si sa, ma quando è buona, vuol dire che la farina si è trascesa nell’idea di pane.
Il pane migliora magicamente una quantità di cibi, formaggi freschi e stagionati, salumi, zuppe, carni e sughi. La baguette è il pane dell’alta cucina francese, ma accompagna bene quasi ogni sorta di cibo saporito dell’emisfero occidentale e anche orientale, dal Giappone al Vietnam. E’ anche grande amica del vino.
Ma possiamo uscire un momento dalla dimensione comunicativa e vedere i consumi reali di pane e vino? Potremo vedere la relazione inversa tra quanto se ne parla e quanto se ne mangia e se ne beve. Ci faremo un’idea di lungo periodo di quanto usciamo da un solco secolare.
Le fonti sul pane sono da rilevazioni Coldiretti. Quelle più recenti sul vino si possono trovare qui. Quelle relative al 1800 mi vengono da comunicazione orale di un cliente storico dell’agricoltura che ha tenuto alla Fondazione Einaudi una conferenza su Einaudi e la Vigna. Sono dati ricavati da studi del nostro primo presidente, quello che a un pranzo ufficiale era capace di dire a un suo vicino — Tutta la pera è troppa, non farebbe a metà con me?
Consumi di pane pro capite in grammi giornalieri
Consumi di vino pro capite in litri giornalieri