Non sarà certo un alimento ad avvicinarci a Dio; né, se non ne mangiamo, veniamo a mancare di qualche cosa, né mangiandone ne abbiamo un vantaggio. (I Cor, 8,9)
Dimentico dell’apostolo, mi ritrovai sui colli tortonesi, cercavo quel vino trovato esatto per compagnare i tajarin laici ma kosher di un monaco moderno della pasta all’uovo. Indicazione, la casa viola sulla 130.
Trovai il druido, giovane e di nome Andrea. Voglia o non voglia, Pasqua con la foglia, ma questo giro la foglia è già. Bisognerebbe andare a curare, ma il fango fatica il doppio, il celta è in cantina aspettando il vento.
Hai nebbia, i colli senza capannoni non vedi. Non li vede il milanese, che li attraversa in direzione Langhe, dove i capannoni non mancano. Non fosse per Walter Massa e il timorasso, chi saprebbe che anche qui c’è il sacro. Farinetti lo intervista insieme a Gaja.
Andrea Tirelli qui crebbe e tornò dieci anni fa, quando uno zio stanco donò la terra. Sui colli la gioventù scarseggia, ma la terra non si affitta — circolo vizioso già trovato altrove.
Il Muntà è da uve cortese, ma che importa. Non è un orange, è che sta mesi sulle fecce fini e gli vengono spalle larghe, una persistenza affermativa, una durata di anni. Ho avuto in dono una bottiglia del 2005, ed era una fresca pietra balsamica.
I rossi, una barbera, quel dolcetto anomalo di queste parti, una freisa, hanno in comune il colore profondo e la terrosità di un sistema periodico. C’è sotto una faglia di appennini che sfregano, che sia per questo?
O che sia pedologica, dovuta al biodinamico, venti erbe diverse in un metro quadro? Biodinamico non dichiarato, e neanche biologico, e neanche doc, a evitare bigiotteria che distragga e sbirri che multino, sola onestà del prodotto. Oh filosofia tortonese, che il buon lavoro paga, non so se sei vera, ma che pace che dai!
Paga secondo una contraddizione ben nota, che sia più facile trovare il Muntà a Melbourne che a Tortona. Del resto, non trasvolano anche la mozzarella di Eataly e il gelato di Grom, questo almeno scade tra 20 anni…