Ramìe

Si fece gita con Giulia e Valentina di Vini Prever a Pomaretto, valdese terra di Ramìe, a sinistra della cattolica Perosa Argentina. Perché mai? Giulia e Valentina alla ricerca di analogie col proprio territorio, bassa Val Sangone, io impressionato da una bottiglia di Coutandin. La si fece qualche giorno dopo una pagina della Bugiarda dedicata al Ramìe, si andò quindi per vitigni modesti nel quarto d’ora di loro notorietà, si dovette rinunciare a un senso di scoperta.

S’imparò che il Ramìe si fa con undici vitigni differenti, un piccolo Chateauneuf du Pape. Si scrutò per le pendici del monte intuendo vecchi terrazzamenti, si passeggiò – poco – in quelli rimessi a nuovo negli ultimi anni, si guardò in su, si guardò in giù.

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In giù c’era Coutandin padre che rifaceva personalmente un muretto a secco, mago bianco di 72 anni, chioma e baffi fluenti. Imparò l’arte del muro a secco da bambino, non si capì se perché tutti i bambini allora imparavano o perché Coutandin padre fosse bambino scontroso.

Oggi il mago è più cordiale di quel che ti aspetteresti, ma quando è ora di comprargli una bottiglia, si ritira in trincea di non collaborazione, mio figlio sta facendo una cosa, mia nuora si è rotta una gamba, io non ho tempo, il vino è appena imbottigliato, ripassate tra due mesi.

Coutandin si è chiamato fuori dal Consorzio dei Produttori del Ramìe, e giustamente direi. Il Consorzio è causato da Coutandin, non il contrario. A noi è dato di acquistare – ma poche! – bottiglie del Consorzio, Ramìe 2013 di 11,5 gradi volumetrici (ma Coutandin nel 2013 faceva 13,5). Nel 2015, annata memorabile, raggiunge i 13.

Perché beviamo vini di montagna? Perché sono per definizione verticali, vini Modigliani tra vini Botero, perché a torto sogniamo vie di scampo dalla malaria delle smart city, per visione di Italia arcaica, senza strade, senza servizi e senza erogatori, di lavoro fatto col corpo e non col fido, di pazienza eroica, di lungo periodo, di incanti ordinari.

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