Mario Soldati lo chiamava Ruké, io sono costretto a chiamarlo Rch. A Soldati era antipatico, lo descrive ripido: tutto uno scalino. Per me è un vino delle feste. Lo compro da Massimo Marengo a Castagnole Monferrato. La cantina di Massimo Marengo è impressa nella mia memoria come uno dei posti più freddi della terra. Massimo conferma, Castagnole è un posto di merda, tira un’aria assassina.
Siamo 30 produttori di ruché. La zona buona è questa qua, fa segno sulla sinistra, se vai a Viarigi o a Grana, la devono tagliare con uva di qua per farlo buono. C’è chi va dietro ai parametri, e viene tutti gli anni uguale, ma ti sfugge dalla mente. Io, e anche gli altri, ogni anno è diverso, così non c’è un produttore su cui puntare senza fallo. Anche Nadia, 2 su dieci sono così così.
La cantina si addentra nel sostrato a collegarsi al vecchio crutin, scavato in un tufo morbido, dal tatto polivinilico. Non come quello di Casale, adatto a costruire. Il suolo è calcareo argilloso.
Soldati assaggiò nel ’75 quello dei Meda. Fulvio Ferrari comprava quello dei Meda in damigiana negli anni ’90. Parlai al telefono con Meda qualche anno fa, lo imbottigliava tutto e si considerava un po’ l’inventore del ruché.
Per Massimo Marengo, Meda fu il propagatore. Era vivaista. Prima ce n’era sparso tra i filari, nessuno lo faceva in purezza. Negli anni ottanta ne producevo 1500 litri, oggi più di 10 volte tanto. E’ un vino che si è diffuso col mercato. Io vendo soprattutto a Torino, nell’alessandrino e un po’ nel milanese. Una volta era spesso abboccato e poteva anche mussare in bottiglia. Non riusciva sempre a sviluppare tutti gli zuccheri. Nel disciplinare si può mettere un 10% di barbera, o brachetto. Qualcuno mette un po’ di malvasia, lo riconosci se è troppo profumato.