Dai Gamba sono dovuto andare cinque o sei volte prima che si sgelassero. Alta langa ritrosa e taciturna, il caffè di accoglienza posso ben dire di essermelo meritato, ci vanno due ore per raggiungerli in contrada San Giorgio, comune di Sessame. Qui il dialetto sente l’aria del mare, lessico e cantilena hanno un po’ di Genova.
Ci vado per il braghet amar, il brachetto vinificato secco, fratello minore del ruché, rosso aromatico che sa di rosa, perfetto con desinari leggeri, minestre e formaggi freschi. Penso che all’ala sinistra nella nazionale di Soldati degli anni ’50 ci fosse questo tipo di brachetto, non quello spumantizzato dolce conosciuto ai più. Lo compro senza doc, lo chiamo birbèt sec.
I Gamba mi piacciono per il brachetto, le parole contate e il chiamarsi fuori. Fuori dal sistema doc. Abbiamo avuto spesso problemi, racconta Lorenzo, con la Camera di Commercio per il Brachetto d’Acqui e il Moscato d’Asti. Come mai? Sorridono. Forse era troppo buono, non so. Ma ho rinunciato alla denominazione quando una volta mi sono preso lo sfizio di prendere un po’ di Moscato, schiarirlo col carbone vegetale, allungarlo di una parte su 10 con l’acqua del rubinetto, aggiungere un pochino di acido citrico e spedirlo come campione alla Camera di Commercio. Quello me l’han passato subito. Quello si vede che era tipico.
E’ dopo questo racconto che ho riconsiderato la grafica dissuasiva del mosto parzialmente fermentato di brachetto dei Gamba, il Susina, e ne ho comprato qualche bottiglia non dirò con entusiasmo, ma almeno con partecipazione. E non ho aggiunto altro quando alla domanda perché Susina, Lorenzo mi ha risposto: perché mi piaceva così.