Anche qui da noi in Piemonte si piantarono varietà bordolesi nei primi passi della globalizzazione, quando andarono di moda i blend un po’ legnosi, o molto. Per non morire di Barbera, dice Claudio Solito.
Oggi che la parola blend provoca una smorfia perché la precomprensione è monovarietale, oggi che il globalista beve autoctono, e la barbera ha preso prezzo via consorzi di tutela, le varietà internazionali fanno pensare a quelle opposizioni un po’ scialbe a cui siamo così abituati.
Ma posso rammentare che prima di essere internazionali i bordolesi sono un territorio e tra i primi sei vini più costosi al mondo cinque sono dei Cabernet Sauvignon in blend col Merlot, e che è bordolese l’archetipo del vino?
E sommessamente suggerire al carnivoro di provare dalla carta di Vinologo il Cabernet Sauvignon 2016 da Langa, col suo passato di barrique, e il Merlot 2017 dal Nizzardo astigiano maturato in acciaio (o al vegetariano di lasciarsi ispirare dalle note erbacee del Cabernet Franc friulano)?
Nell’argilla piemontese non ci sono i sassi della Rive Gauche, siamo un po’ lontani dal mare, l’estate è torrida, ma gli impedirà di concludere che sono più simili a un vino californiano una certa eleganza, che lo farà sentire a casa come una Barbera.