Sul fondovalle era una di quelle giornate grigio topo senza ombre. Per la dodicesima volta ho attraversato Clavesana vecchia senza vedere anima viva. Più sopra, dove comincia il dolcetto, una nebbia e un’angoscia di Langa. Quando arrivo allo Sbaranzo, Fabrizio Fabiani col colbacco sentenzia: Nebbia alta, bel tempo lassa.
Mi guardo intorno. Mah.
Sono qui per il pinot nero. Perché anche noi come Paul Giamatti preferiamo la Borgogna al Bordolese e alla Borgogna rendiamo omaggio e anche un po’ la sfottiamo con questo pinot nero dello Sbaranzo in damigiana. Un vino per caso, trovato per caso chiedendo in cantina cosa c’è qua dentro.
Fabrizio Fabiani, come molti vignaioli, ha il mito dello champagne ed è da tanto tempo che vuole fare uno champenois. Così alla fine degli anni novanta pianta dello chardonnay e del pinot nero allo Sbaranzo. Poi però non è mai pronto, dello chardonnay vende le uve e il pinot lo mette in barrique. Prova a fare dei tagli, col barbera, col dolcetto, ma insomma il pinot nero non trova collocazione. E’ che Fabrizio non è convinto.
Ha ‘sti profumi di animale bagnato, che non so bene.
Io invece lo trovo perfetto. Gli chiedo se è vero che è così delicato da coltivare. Fabrizio, che non ha mai visto Sideways, smentisce.
Mai avuto problemi. Fa delle rapolette così, degli acini piccoli con la buccia spessa, il peduncolo non lo rompi con la mano, lo devi tagliare. Invece lo chardonnay, che tutti dicono che attacca dappertutto, io l’ho trovato difficile. E’ su terreno sabbioso a 400 metri di altitudine, subito sotto il pinot, ma è sensibilissimo all’umido. Ho dovuto fargli due trattamenti antimuffa, mi chiedo quanto sia impestata l’uva che viene da posti meno sani.