Non di rado i miei incontri con la campagna hanno il senso del fine corsa, ma qualche volta trovo un figlio e un po’ di futuro nell’essere piccoli vignaioli oggi in Italia. Stefano Menti è uno di questi figli.
Stefano mi ricorda Gianni Doglia: bordolesi e damigiane riescono a convivere, mercato estero e locale, vini secchi e vini dolci, fermi e bollicine. Il suo territorio è Gambellara, colline moreniche a nord-est di quelle del Soave, dove si coltiva la stessa garganega cha fa quel bianco nervoso, lievemente aromatico nelle parole di Mario Soldati.
Stefano fa anche appassire la garganega in una piccola torre del ‘700 per fare un recioto da lieviti indigeni, che ogni anno è diverso, mai nello stesso punto della scala alcol-zucchero. Il recioto invecchia nella parte interrata della torre, l’ex ghiacciaia oggi barricaia.
A Gambellara ci sono due punti di riferimento per il vino, la cantina sociale e Angiolino Maule. Stefano è un ammiratore di Angiolino Maule ed è andato a chiedergli di fare parte di Villa Favorita. Maule l’ha interrogato e Stefano gli ha esposto le sue pratiche, le vigne vecchie, le rese ragionevoli, i metodi di rispetto in cantina. Alla fine Maule gli ha detto di no, per l’uso della gomma arabica e il diserbo. Ma se dico a mio padre che non voglio più diserbare, pianto una grana troppo grossa, gli ho già rovesciato i suoi concetti abbastanza, dice Stefano.
Da un paio d’anni i Menti hanno in affitto in località Omomorto mezzo ettaro di durella, un vitigno dei monti Lessini con un’acidità fuori dal comune, usato per le bollicine. Dopo dodici mesi sulle fecce fini per dargli sapore, il durello è stato spumantizzato col metodo Martinotti e sono state imbottigliate 4000 bottiglie di brut Omomorto. Stefano, certo che sto toponimo… No no, me piase. Omomorto pas dosé.