Lambrusco

nebbia_2 Alla prima indicazione blu per Mantova esco dall’autostrada e prendo la statale. Nebbia fitta, il disco pallido del sole a ore dieci, quel senso di illimitato che Soldati trovava solo in Sardegna, e invece sei in Padania, amico. Guardo solo le scritte tirate a mano sui lenzuoli — no grafica, no stampa digitale — salumi nostrani, zucche, balle per funghi. Sei a casa.

Ho tempo, mi viene voglia di farmi una foto vicino al monumento di Castagnoli fatto da Nespolo in un giardino di Mantova. Avevo ammirazione per il professore. La circonvallazione mi dissuade, attorno alla città più vivibile è il solito inferno. Via allora, pensiamo al lambrusco. Verso Ostiglia, poi a Quistello.

Cantina sociale, un altro girone dantesco di tubi da 4 a coprire tutti i corridoi. Acquisto non il rosato, non il rubino, ma il rossissimo, che ha sostato un po’ più sulle bucce, per il nostro pubblico piemontese che talvolta vuole bere facile, vinoso e spumoso. 170 quintali per ettaro e raccolta meccanizzata per questo vino a buon prezzo che con la crisi è tornato di moda.

Pranzo a San Benedetto Po dietro la piazza meravigliosa di spazio, alla Cantina. Sono solo in sala, pregusto i tortelli di zucca e il somaro con la polenta e una mezza di lambrusco mentre leggo il giornale. E’ allora che la signora, certamente per alleviarmi il silenzio, accende Radio Mantua Me Genuit. Chewing-gum per le orecchie, così lo chiama Giulio, figlio del professore. E sono subito ovunque.

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