Negli ultimi mesi mi sono molto occupato di pane. Ho visitato diversi panettieri bio, praticato di persona i misteri della pasta madre, mangiato molto pane, come non facevo da quando accertai che stavo meglio senza.
La sintesi di questa indagine è che bio-ma-buono non è una realtà ordinaria. C’è il pane sano e c’è il pane buono (quando c’è), ma si frequentano poco.
La pagnotta ancestrale è di grano tenero, una crosta brunita e croccante che trattiene una mollica alveolata e lucente, ma la selezione di cloni produttivi e del super-glutine l’ha resa meno simile a un nutriente che a un veleno.
C’è una via di mezzo, più o meno dichiarata, farine speciali con una percentuale di grano tenero, per non rinunciare alla leggerezza della lievitazione, ma la velenosità è più attutita che eliminata. Quanto pane di farro dovrebbe chiamarsi pane CON farro!
E c’è la via rigorosa, solo grani antichi integrali con poco glutine, una pagnotta più bassa con crosta spesso contestabile. Trovarci un po’ di leggerezza sembra andare in cerca del graal. Bisogna rinunciarci? E’ questo il nostro pane quotidiano prossimo venturo?
O pregheremo per una metonimia, alludendo nel pane a un generico nutrimento? E’ più di un dubbio, pensando che passammo dal chilo di pane quotidiano della Regola benedettina ai 60 grammi di oggidì. Pane messo peggio del vino! che non si consola dicendo ne mangio meno ma meglio.