Qualche giorno in Francia, come un anno fa, come unica finestra sul mondo Le Progrès (piccola finestra, non si vede quasi niente). Un anno fa lessi sulla rovina prossima ventura, mi preparavo a fare scorte – come, con cosa. Il reddito mi ridusse a più miti consigli. Quest’anno, con la perplessissima letizia del sopravvissuto, mi sono dedicato a letture quacchere, cercando se potrei essere un uomo pio, sarebbe un altro modo di vegliare, meno costoso.
Molte targhe olandesi, chissà se si sentono a casa per risonanza storica o enogastrò. Ne vidi accampate da Franck Besson, sotto cielo non incline a simpatia, in quindici giorni mai sopra i 23 gradi, di notte 10. Non posso credere che sia un’annata decente, eppure vedrai le gazzette quando si vendemmia. Con Franck inauguravo le foto di mani, non volti che imbarazza l’agricolo. Non ebbi tempo e lingua per spiegare lo spirito del progetto, così le gettò lì non sue su un cartone, mani senza pensiero eppur di fretta.
Un piccolo quadro olandese mi chiamò, Autoritratto dell’Artista con Famiglia, di Rootius a Macon, quello che c’è in rete non rende giustizia. Solo visitatore, non potei starci lungamente esposto, il mezzogiorno urgeva e un plotone di usceri e usciere faceva così col piede per rispettare l’orario 10-12. Ecco perché non posso credere che i cugini se la caveranno meglio di noi, Le Progrès bastava per farsi un’idea della corrente principale, più debito la soluzione unica, come qui.
Bevvi in poche occasioni, trovando più conforto in un Aligotè – mi sembrò un vermentino – che in uno Chardonnay di Borgogna – cosa c’è da celebrare? Un 1er cru di Saint Aubin del 2008 mi parve inespressivo, a meno che non mi stesse dicendo di spendere il doppio per un’esperienza dignitosa. In un bag-in-box che costava come i miei trovai la metà di qualità. O sbagliai enoteca, o sperimentai del vino quella polarizzazione crescente che offrono i giorni, i ricchi più ricchi, i poveri più poveri, la classe media in dissolvimento.
Per non dire della difficoltà a tenere insieme i vini e una cucina di idiosincrasie e frette e intolleranze, e di preferenze col tempo rovesciate, dalla sinistra convivialità all’autoritario e silenzioso raccoglimento della solitudine gastronomica, che ti lascia mentalmente ringraziare, masticare con cura e chiederti se non avesse ragione quel ruteno, che divideva il vino in due sole categorie, quello che fa e quello che non fa male.