Ci sono testimoni lasciati cadere e testimoni raccolti con entusiasmo. Gianni Doglia è un giovane vigneron dell’Annunziata di Castagnole in cui è viva la passione trasmessa dal nonno. Secondo Claudio Rosso è uno giusto, e anche secondo me.
Nella mia prima visita, imbarazzato per le bottiglie in omaggio, mi ha rassicurato con la frase: Non mi sono mai pentito delle bottiglie che ho regalato. Oltre alla fiducia nel proprio prodotto, ci ho sentito una consapevolezza che il dono attraversa tutta l’economia del vino. Nella seconda visita sono stato accolto da Gianni, mamma e papà, e sfamato con calore evangelico di cui ancora li ringrazio — tagliatelle al sugo, coniglio e arrosto di maiale con coste e carciofi, perfino i pasticcini della festa del papà, e una bottiglia di barbera Bosco Donne.
Gianni è un vignaiolo comunicativo, una persona che ti dedica del tempo. Ha mente limpida, che vede la triplice articolazione del suo mestiere ai giorni nostri: vigna cantina e relazioni, con queste ultime che ti portano via.
La parte cospicua del suo lavoro è con il moscato, ma produce anche barbera, dolcetto, nebbiolo e merlot. C’è un’impronta comune dei suoi vini, che a me sembra una calda stoffa di velluto. Passa perfino nel suo grignolino — ai limiti della tipicità lo descrivono i tecnici della Camera di Commercio quando devono dargli la doc.
Bottiglie e damigiane per Gianni procedono in pari, perché se la bottiglia è il contenitore urbano e globalizzato, la damigiana è il contenitore che ha memoria e nostalgia del luogo. Per essere economico il vignaiolo ha bisogno delle bottiglie, ma per essere autentico non dimentica la damigiana. Equilibrio e prudenza sono le sue virtù, per tenere in quadro questo doppio binario.