Intelligenza Artificiale vegetariana

Ma se uno non vuole mangiare niente che abbia gli occhi (Goffredo Fofi), come è messo col vino?

Abbiamo chiesto a ChatGPT di svolgere l’argomento, ecco il risultato (commenterò in altra occasione):

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scrivi un articolo sull’abbinamento dei vini italiani con il cibo vegetariano, in modo intellettuale, curando i punti si assonanza e di dissonanza tra vino e cibo vegetariano
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L’arte dell’abbinamento tra vino e cibo non è soltanto un piacere per il palato, ma anche una sfida intellettuale che richiede una conoscenza approfondita delle caratteristiche organolettiche di entrambi. In particolare, l’abbinamento tra vino e cibo vegetariano può essere una vera e propria prova di maestria, poiché le note gustative e aromatiche di alcuni vini possono entrare in assonanza o in dissonanza con i sapori e le consistenze dei piatti senza carne.

Innanzitutto, è importante considerare che i vini italiani sono tra i più variegati al mondo, con una vasta gamma di vitigni, terroir e metodi di vinificazione. Di conseguenza, l’abbinamento tra vino e cibo vegetariano può essere molto diversificato a seconda della regione di provenienza del vino e del tipo di cucina vegetariana.

Ad esempio, se si vuole accompagnare un piatto di verdure grigliate con un vino rosso, bisogna fare attenzione alle note tanniche del vino, che potrebbero contrastare con la delicatezza delle verdure. In questo caso, è consigliabile optare per un vino rosso leggero e fruttato, come un Bardolino o un Valpolicella.

Al contrario, se si vuole abbinare un piatto di funghi porcini con un vino rosso, è possibile scegliere un vino più strutturato e complesso, come un Barolo o un Brunello di Montalcino, che siano in grado di sostenere la consistenza cremosa dei funghi.

Inoltre, l’abbinamento tra vino e cibo vegetariano può essere influenzato dalla presenza o meno di formaggi nella ricetta. Ad esempio, se si vuole accompagnare un piatto di pasta con pesto alla genovese, si può optare per un vino bianco leggero, come un Vermentino o un Falanghina, oppure per un vino rosato come un Chiaretto di Bardolino. Tuttavia, se si aggiunge del formaggio grattugiato al pesto, è possibile scegliere un vino bianco più strutturato, come un Chardonnay o un Verdicchio dei Castelli di Jesi.

Infine, è importante considerare l’equilibrio tra dolcezza e acidità del vino rispetto al piatto vegetariano. Ad esempio, se si vuole abbinare un piatto di risotto con zucca e rosmarino, è possibile scegliere un vino bianco fruttato e acidulo, come un Sauvignon Blanc o un Pinot Grigio, che bilanci la dolcezza della zucca e la nota erbacea del rosmarino.

In sintesi, l’abbinamento tra vino e cibo vegetariano richiede una conoscenza approfondita delle caratteristiche organolettiche di entrambi, ma può essere un’esperienza sensoriale sorprendente e gratificante. Con un po’ di pratica e sperimentazione, è possibile trovare l’abbinamento perfetto tra vino e piatti vegetariani, creando un’esperienza culinaria indimenticabile per i propri ospiti.

Quali sono i vini italiani più adatti per accompagnare i piatti vegetariani della cucina del sud Italia?

La cucina del sud Italia, caratterizzata dalla freschezza e dalla semplicità dei suoi ingredienti, richiede vini che siano in grado di esaltare i sapori e le note aromatiche dei piatti vegetariani. Ecco alcuni vini italiani che potrebbero essere adatti per accompagnare i piatti vegetariani della cucina del sud Italia:

Fiano di Avellino: Questo vino bianco, prodotto in Campania, è caratterizzato da una nota fruttata e floreale, con un equilibrio tra acidità e morbidezza che lo rende ideale per accompagnare piatti vegetariani a base di verdure, come peperonata, melanzane alla parmigiana o zucchine ripiene.

Aglianico del Vulture: Questo vino rosso, prodotto in Basilicata, è caratterizzato da una nota tannica e speziata, con un sapore intenso e corposo. È ideale per accompagnare piatti vegetariani a base di funghi, come funghi trifolati, risotto ai funghi o funghi porcini alla griglia.

Nero d’Avola: Questo vino rosso, prodotto in Sicilia, è caratterizzato da una nota fruttata e speziata, con un sapore morbido e vellutato. È ideale per accompagnare piatti vegetariani a base di pomodori freschi, come pomodori ripieni, pasta alla norma o caponata di melanzane.

Greco di Tufo: Questo vino bianco, prodotto in Campania, è caratterizzato da una nota minerale e agrumata, con un sapore fresco e sapido. È ideale per accompagnare piatti vegetariani a base di legumi, come fagioli all’uccelletto, pasta e fagioli o zuppa di ceci.

Primitivo di Manduria: Questo vino rosso, prodotto in Puglia, è caratterizzato da una nota fruttata e speziata, con un sapore pieno e rotondo. È ideale per accompagnare piatti vegetariani a base di formaggi stagionati, come parmigiano reggiano, pecorino o caciocavallo.

In generale, per accompagnare i piatti vegetariani della cucina del sud Italia, si possono scegliere vini freschi e fruttati per i piatti a base di verdure, vini strutturati e complessi per i piatti a base di funghi e legumi, e vini tannici e speziati per i piatti a base di pomodori e formaggi. Tuttavia, l’abbinamento tra vino e cibo è sempre una questione di gusti personali, quindi è importante sperimentare e trovare l’abbinamento perfetto per i propri piatti vegetariani.
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Ma perché beviamo il vino

Posso partire dall’alto? (o dal fondo). Da quell’uomo sacro che nel mondo romano antico per aver commesso qualcosa viene bandito e si trova nella situazione di poter essere ucciso da chiunque ma sacrificato da nessuno, perché non ci sono per lui dèi nè superi nè inferi, si trova cioè nella nuda vita. Ecco, a me la nuda vita mi interessa.

Però questo è un concetto un po’ denso, un vino troppo importante che a quest’ora non si beve, se aggiungiamo dell’acqua e lo facciamo diluito, abbiamo la vita semplice. A me la vita semplice mi interessa.

Come commerciante sono interessato all’insieme intersezione della vita semplice e del vino, che, è facile, è costituito dai vini semplici. Come commerciante sono anche portato a credere alla Mano Invisibile, cioè che un grande numero di eventi si costituisca da sé in ordine spontaneo, e che l’ordine spontaneo sia più solido di un ordine imposto dal potere. E’ qua che cominciano a venirmi dei dubbi.

Non la vedo bene, non mi pare che la vita semplice abbia un mercato tanto prospero, e quindi anche il sottoinsieme dei vini semplici. Ma allora perché beviamo il vino?

Sì, perché da una parte c’è la Medicina, che è una potenza tecnica notevole, ciascuno di noi l’ha sperimentato negli anni scorsi, e la Medicina vuole che il vino fa male. A un certo punto della tua vita te lo vogliono togliere, insieme ad altre cose.

Poi c’è la Sicurezza, che in nome del Bene Comune è un bel motivo per lo Stato di intervenire. Se ti muovi sulle strade, il rapporto fra te e il vino deve essere regolato da un numero solo: lo zero.

Io penserei che beviamo il vino, ancora e nonostante tutto, perché ci connette e ci trattiene nella Languida Catena delle Generazioni — qui il copyright è di Lindo Ferretti in Ultime Notizie di Cronaca.

Lato B 2021

Il Lato B 2021 potrebbe essere l’ultimo Lato B, dopo quasi un ventennio. Della vendemmia 2022 sono state vendute le uve, quindi nell’inverno 2023-24 non ci sarà alcun Lato B, ma sono anche stato incerto se comprare il 2021 per questo inverno 2022-23. Il 2021 ha infatti un problema, non ha fatto la fermentazione malolattica.

Dopo la fermentazione alcolica, che trasforma gli zuccheri in alcol, normalmente coi primi caldi della primavera avviene un’altra fermentazione, che trasforma l’acido malico in acido lattico. Questo abbassa l’acidità e dà morbidezza, mentre la presenza del malico, che come dice il nome è imparentato col mallo delle noci, fa schioccare la lingua. Mentre la fermentazione alcolica è tumultuosa, quella malolattica è sommessa, ma quando è in corso provoca nel vino un odore di caseificio, nelle parole di Giovanni, che passa poi coi travasi.

Nei bianchi perlopiù si preferisce non avere la seconda fermentazione per non avere un vino molle e trattenerlo nella freschezza, i solfiti servono anche a impedirla e questo spiega il tenore di solfiti più alto nei bianchi, con le conseguenze di malditesta, insonnia etc.

Questo della mancata malolattica non è un problema specifico del Lato B, è comune a molti vini 2021. E’ come se i batteri avessero fatto sciopero (i batteri quando si organizzano in complessità, che riguardino lo strato fertile della terra o il microbiota intestinale, sono un argomento ostico anche per la tecnica moderna, ne abbiamo parlato altrove). Si potrebbero inoculare dei lieviti di laboratorio, ma intanto costano molto, e poi non garantiscono l’esito. Giovanni ha deciso di non fare nulla e lasciare il suo Lato B al proprio destino.

Ho chiesto a Giovanni quale sarebbe questo destino se non lo comprassimo noi. Sarebbe comunque venduto, poiché la qualità è la solita (si tratta anche quest’anno di una barbera da 15°), a qualcuno che probabilmente lo disacidificherebbe col bicarbonato, poi per mascherare la sfumatura violacea che ne deriverebbe, lo taglierebbe con altro per il colore voluto.

Allora abbiamo deciso di occuparcene noi di Vinologo, di starcene anche noi fuori dalla volontà di potenza mentre le tenebre avanzano, e di proporre il Lato B 2021 così com’è.

Feudalesimo organolettico

Ora si sente dire di fine della globalizzazione, più spesso con costernazione che con fiducia. Ne ebbi segni contrastanti a Sessame, non nel paese che scivola giù, ma in località San Giorgio, che ha una geologia più salda.

Quello che in carta chiamiamo Birbet Sec (e che non potremmo, perché il nome appartiene a qualcuno o qualcosa) dalla vendemmia 2021 non è più brachetto in purezza, si torna all’antico, a un taglio. Ci sarà un 15% di dolcetto e nebbiolo (qui è quello di Dronero, non di Langa) per un più di tannino e colore e forse un meno di instabile. Assaggiato, mi parve più adulto, sulla strada che porta a un ruchè.

Mi spiegò Lorenzo che il brachetto ha zuccheri ma pochi polifenoli, ciò nonostante vuole estrazioni brevi a evitare esiti non desiderati. Il taglio gli dà più struttura cioè identità, quella che aveva prima della stagione monovarietale, espressione della globalizzazione vinicola, si torna al feudalesimo organolettico.

Non è un vitigno che esprime un territorio nell’enciclopedia dei vitigni e dei territori, il territorio si guarda dentro alla ricerca dei mezzi autarchici per sopravvivere, e li trova in ciò che già era, prima di diventare Comunicazione. Mi ravviva che nuovi clienti, dopo quelli persi con il virus cinese, arrivino alla cantina per una ricerca di Lorenzo Gamba su Google. E se non conoscono il nome? Qualcuno indaga sulle mappe per la sua vacanza e così mi trova.

Sessame infatti è Settimo Continente, se stai poco bene puoi scegliere tra l’ospedale di Novi Ligure e quello di Verduno, comunque un’ora e mezza di macchina. (Sicuramente questo aumenta la quantità di salute media della zona.) Il capoluogo Acqui è descritto da Lorenzo come città morta di serrande abbassate, dove il turismo termale e l’aperitivo sono pallidi ricordi. Un posto dove ti piacerebbe vivere insomma, mentre Lorenzo spera nella gentrificazione della Valle Bormida, come successe per Alba e succede per il Monferrato.

Al ritorno riscavallo le colline che separano Sessame da Canelli. In cima c’è Cassinasco, adocchio un posto nuovo che sa di vecchia osteria e non si chiama antica. A Cassinasco! Adoro queste imprese perifericissime, mi fermo. Dentro due persone bevono un bianco, è troppo presto per il pranzo, ma riesco a ottenere un panino d’altri tempi (finirlo mi richiederà tutta la concentrazione e il tempo che ci vuole) a un terzo del prezzo che costa, notizia di oggi, il menu minimo di McDonald’s. Mentre esco sento che le due persone che bevono un bianco parlano in inglese.

Viaggio in Oriente

Approfittando di provvisoria libertà, mi dirigevo a Est, verso la scorrevole lingua madre se poe far, lontano dall’esplosivo ‘a spol nen. Scontento danzatore, ero senza scopo ma con direzione. Per strada potevo chiedermi quale il sentiero. La morte di Amerini mi lasciava solo. Avrei visitato posti e persone che non vedevo da dieci e più anni.

Mi sono fermato qui. Assistito da giovane peruviana con inesatto accento veneto che non c’era dieci anni prima, il resto delle cose più o meno le stesse, con inclinazione verso l’alto, e delle domande che mi posso fare. Può esprimersi il legame col territorio in molti territori? Se diventa un mezzo e non un fine, i vini saranno autentici? E se i vini sono buoni, che ne è dell’autenticità? Problemi miei, qui trovavo una facilità di vita e di rapporti e le cose prima delle domande.

Alla sera cenavo qui. Bella Sarah, bellissimo il posto, l’uliveto, le botti abitazioni, il grande orto biodinamico. Mangiavamo a metri zero, come diceva lo chef di accento napoletano assai ma di nome Mike e nato a New York. Ai tavoli ragazza svedese, come deve essere, agisci locale pensa globale. Sento i numeri aggiornati del Prosecco, ogni giorno sulla Terra se ne stappano due milioni di bottiglie. Ne assaggio diverse tipologie, da vigna vecchia, ancestrale ma sboccato, senza solfiti, più zucchero meno zucchero. Mia inettitudine a cogliere tante piccole differenze in un vino così delicato. Penso a quante tipologie di pastiglie per il mal di testa inventi il marketing, rimango perplesso. Problemi miei, qui trovavo cura e bellezza come sentiero, e una delicata fortissima volontà di procedervi.

Arrivavo fino a qui, posto di donne, la comandante in capo tipo tosto. Il luogo e le persone mi appaiono più uguali che diverse, l’unico divenuto sono io. Mi viene fatto notare che l’azienda si è fatta più robusta, le macchine e i mutui più grandi, gl’impianti delle vigne migliorati, sullo sfondo della competizione sulla qualità e il prezzo. Qui trovavo una percezione chiara di come va il mondo, c’è il mercato e ci sono rimedi tecnici e c’è la volontà di adottarli perché sentiti necessari. Potevo chiedermi se era un sistema di pensiero o una fede, ma era un problema mio.

Mancavo l’incontro con Stefano, ci sfiorammo per strada, lui diretto a sud io a nord. Ci prendemmo in giro al telefono, non potei prendere visione della sua barba biodinamica e di un sentiero percorso da un’altra volontà.

Arrivai anche qui, e mi piacerebbe mettere un link, ma l’unico è il mio. Gregorio divaga, come allora. Qui è l’asse del mondo, ed è una pianta di prosecco, ed eterna la Grande Guerra. Riporterò solo questa: molti veneti parteciparono all’invasione della Russia da parte di Napoleone, molti morirono e alcuni si stabilirono. Scende dall’aereo bielorusso un ragazzo, è tale e quale a Putin, ma il suo nome è Putìn, che in dialetto vuol dire pargolo. Da Valdobbiadene scrivono al presidente russo se volesse fare l’esame del DNA. Nessuna risposta dal karateka, supposero non ritenesse opportuno seminare il dubbio che il nazionalismo russo avesse le sue origini nella zona del prosecco, lasciarono cadere la cosa.

Non c’è o non più volontà in Gregorio, e sembra una forma di felicità. Prima di lasciarci però vuole che andiamo a fare una foto di certe erte ripe di vigne, malandate perché vogliono un lavoro eroico, che oggi non è standard. Chiedo se la posizione eroica fa il vino eroico, mi dice di no mentre mi mostra un buco sul sentiero, dove stava il cannone nel ’17, puntato sul Piave.

certe_erte_vigne_prosecco

Pane Pavlov

Ci riproviamo: venerdì e sabato torniamo a smerciare qualche pagnotta di pane. E’ il pane dell’Alvà, una startup canavesana in cui opera Umberto Salussolia, giovane panettiere di cui abbiamo seguito il curriculum sul campo, non in qualche Università del Gusto. Startup non bancabile e quindi i soldi del forno arrivano da nonni e papà, questo già garantisce che è il panettiere a crederci, non l’impiegato dei mutui nè un algoritmo di politica monetaria. Il malinvestimento è più lontano, il pane buono più vicino.

Ma le due parole che voglio spendere qua non riguardano il sostegno all’iniziativa privata, incosciente per definizione di questi tempi, bensì perché NOI siamo coinvolti ancora una volta dal pane, nonostante sia un consumo residuale, nonostante faccia notoriamente male, nonostante storicamente col pane nel migliore dei casi siamo andati in pari.

Nessuno può credere che siamo affascinati dai Nuovi Panettieri affabulatori e social-isti, magari divisi in moderati ed estremisti come la sinistra hegeliana. Riconosciamo in questo apparire nel Mondo Pane un fenomeno che Soldati vedeva già pienamente affermato nel Mondo Vino degli anni ’70: Come accade da tempo ai contadini in Francia, ormai anche in Toscana tutti i contadini sono estetizzanti, letteratoidi, pubblicisti e antiquari. Chi non è sommellier o maestro del gusto alzi la mano. La sala rimase immobile.

Se non è per l’oggi, è per quello che fu? Leggo che la glottologia rimane incerta sulla radice indoeuropea pa, potrebbe farsi risalire all’allattamento materno o al sostegno paterno. In ogni caso sembra risuonarvi più il timbro di una legge che quello di una tecnica, richiedere più un atteggiamento di timore e tremore che un padroneggiare dei mezzi per un fine.

Ricordiamo che Umberto viene da studi teologici e che il fare con la pasta madre deve accettare una qualche eternità, la languida catena delle generazioni di pagnotte. Questo è il prima, il poi è quell’acquolina in bocca quando attraversi l’odore del forno. Tra il prima e il poi è lo spazio dove ti trovi recidivo filosofico pane di Pavlov.

Tartufi

Stato con trifolao della provincia di Asti. Non un professionista che vive di quello, fa un altro lavoro, ma si capisce che in testa ci sono i tartufi.

Il mondo dei tartufi è molto occupato da cani, e la singolarità specifica dei cani vi è molto viva. Ognuno ha un suo modo di cercare e di percorrere lo spazio col naso. Ci sono delle razze considerate adatte al tartufo, ma secondo il nostro trifolao i migliori sono i bastardini, che lui prende da cuccioli per allevarli lui. Un buon cane da tartufi può valere 4 o 5mila euri, un campione anche 7mila.

Il trifolao prende un compasso e traccia un cerchio di 6km di raggio intorno a casa sua, non sconfina, perché lo spazio del tartufo è sempre occupato da altri, e questo autocontrollo limita i conflitti. Dei conflitti la prima vittima è il cane.

Il tartufo genera truffe, raggiri, messinscena. E’ comune che quello d’Alba venga mescolato con altri tartufi bianchi meno pregiati, umbri per esempio, a trasmettere profumi e trarre in inganno. Quando Cristiano Ronaldo l’anno scorso assistette alla cerca del tartufo a Costigliole, il tartufo era già stato interrato in precedenza, non si voleva farlo venire fin qua e poi girare a vuoto. Perché andare a tartufi è un po’ come andare a pescare, devi avere pazienza con risultato incerto. Ma la pratica è diffusa, perché c’è un’economia laterale del tartufo fatta di pullman di stranieri, con i parcheggi dedicati, che vengono ad assistere al ritrovamento.

Questo significa che se non si può coltivare tartufi, si può però curare un contesto favorevole. Ci sono infatti piante più adatte — pioppo, quercia, tiglio. La pianta non deve per forza appartenere a un bosco, il trifolao racconta di un tiglio a Canelli che aveva un tartufo sotto l’asfalto. Vennero di notte col mazzuolo foderato di stoffa per togliere l’asfalto e con l’attenzione di un archeologo isolare il tubero.

Quando girava con suo padre non era raro tornare col cesto pieno, che oggi sia difficile trovarne è un segno di ambiente compromesso, piogge acide, prodotti di sintesi etc. Oggi è un’attività molto regolamentata, con patentino, corsi d’aggiornamento, polizie. Chi ne dubitava.

Il tartufo mi ha interessato perché NON si può fare online e NON sarà compreso dal Recovery Plan.

Impossibile

Non si aveva notizia di contagiati in paese, i giorni passavano tranquilli, i mutui slittavano, il telefono taceva, era una bella primavera — noi il lockdown ce lo siamo proprio goduti. Così Sandro Barosi a Dogliani.

E noi a Torino saremmo da meno, solo perché siamo smart siamo food siamo startup? Anche noi abbiamo gradito la ricetta cinese, e siamo convinti che prossimamente ci toccherà un bel po’ di serendipity — conseguenze non volute — tutte storie di successo senz’altro. (Qui per cogliere il riferimento )

Chi non ha pensato che l’emergenza squarciò il velo? Ci sottoponemmo a lunga esposizione al componimento 838 della Dama Bianca di Amherst, MA, che di veli si intendeva, seguace di una setta con un solo fedele, secondo la definizione di Harold Bloom.

Impossibility, like Wine
Exhilirates the Man
Who tastes it; Possibility
Is Flavorless — Combine

A Chance’s faintest Tincture
And in the former Dram
Enchantment makes ingredient
As certainly as Doom —

Chiesi a John, mamma battista e battezzato metodista (è inutile che metta il link all’acquisto di Pane e Football, perché arricchirebbe solo Slow Food, che non gli paga i diritti. In compenso ce n’è ancora qualche copia da noi in negozio, tutte firmate dall’autore), come è da vedere il vino in atmosfera protestante. Penso che mia mamma non abbia mai messo piede in un pub, e vedeva con disgusto la presenza di alcol in tavola. Mio padre era più possibilista, e quando mi veniva a trovare in Italia passava senza riserve dal vino occasione al vino quotidiano.

E che tipo di vino occasionalmente beveva la famiglia Dickinson secondo te? Direi un claret di Bordeaux, dove claret, come Exhilirates, è un falso amico, perché vuol dire rosso carico. Potrei dire che la maglia del Toro è claret.

Errore, John. Il vino in casa Dickinson, festivo o sacramentale, era un Riesling del Reno, o un rosso rubino di Borgogna. Così nel 230:

We — Bee and I — live by the quaffing —
‘Tis’nt all Hock — with us —
Life has it’s Ale —
But it’s many a lay of the Dim Burgundy —
We chant — for cheer — when the Wines — fail —

Ultima citazione dal 1430:

The Banquet of Abstemiousness
Surpasses that of Wine

Concludo con la Dama Bianca. Non c’è gusto nel possibile. Il vino ci fa più ampi e accenna a una dimensione che è insieme incanto e condanna, è la poesia, è l’impossibile. Esso ti riguarda anche se non hai rango di poeta, uno spritz di rischio è sufficiente. Ma attento, superiore al banchetto del vino è fare a meno, chiamarsi fuori. Il fiore dietro casa è il nostro fiore.

Ora di dubitare

Tutto ciò che riguarda il pensiero si separa da noi con il corpo eterico che finisce nel mondo eterico esteriore. Ah se i consulenti di comunicazione si esprimessero in Steineriano! mi sentirei più a mio agio con il marketing, potrei  concepire questi post come corpo eterico aziendale.

Mascherina. Dovrò anticipare che non sia mai mettere in questione la loro utilità, per considerare che via mascherina assistiamo alla riduzione denotativa di quel po’ di espressività linguistica che ci fa umani, e italiani e precisamente quelli e perciò eterni, per ridurci a fungibili e statistici? E’ oltraggio assimilare mascherina alla cerca di sicurezza nella terra isolata, ultimo arnese del nichilismo? Sembra evidente che, tutti con mascherina, non solo non si protesta, ma neanche si dubita. (Ah le sardine in mascherina!)

Chiusi in casa. Ricordo a Giovanni che negli anni venti del secolo scorso si curava la Spagnola mettendo i letti di ospedale all’aperto, fidando nell’aria come disinfettante naturale e nel potere antivirale dei raggi solari (e non era la cura della Montagna Incantata?). Mi risponde quando la nostra famiglia era alimentarmente autosufficiente abbiamo avuto un vitellino con la polmonite. Un veterinario disse tanto vale sopprimerlo. Cambiammo veterinario. Il secondo disse toglietelo dall’aria della stalla e mettetelo all’aperto. L’animale si riprese e diventò un bel vitello. Oggi agricoli specializzati non abbiamo più tempo per la gallina il coniglio l’orto, e stiamo in coda con mascherina al minimarket giù alla curva per la verdura.

Assisteremo al ritorno dell’autosufficienza alimentare e al declino della specializzazione capitalistica? Sarà questo a intendere con riforma del capitalismo un ex Presidente del Consiglio che come pioniere meritò da Togliatti il commento ma questo non è un bambino, è un nano?

Paura. Per comprovate esigenze lavorative fatto qualche centinaio di kilometri per strade provinciali piemontesi, visto NESSUNO. Assistito oggi in piccolissimo borgo in Val Cerrina ad allontanamento di uomo maturo perché senza mascherina da proprietari anziani di negozio di alimentari, e insulti irriferibili da parte del primo ai vecchi commercianti evidentemente terrorizzati. Mangiavo panino illegale in parcheggio di fronte con pane acquistato lungo il percorso, atto impertinente alle comprovate esigenze. Tanta concreta paura mi fece paura. Quanto ci vorrà, dopo, per tornare ad abbracciare l’amico, baciare l’amante?

Disinfettanti. Ma non avevamo studiato che troppa pulizia nuoce alla salute, riducendo lo spazio di batteri che ci irrobustiscono? Possiamo vincere la battaglia dell’amuchina e perdere la guerra del microbiota. Unico comportamento ammesso in questo scenario di inimicizia con le cose sarà prima usare un disinfettante e poi ingoiare un fermento lattico, e ricominciare da capo.

E questa gara dei Poteri a occupare il posto di Padre Feroce? E questo avvicinamento al limite della Legge Marziale? Non ci sarà un domani anche per questo? Non è ora di non dico disubbidire ma almeno dubitare?

Unico sollievo, con tale difficoltà di approvigionarsi per chi non può o non vuole mettersi in coda al supermercato, è la rovina dell’enogastronomia per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi vent’anni, ecco dove vedo l’unica grande Semplificazione.

Stai a casa

Forzati dall’epoca, finiamo per adottare come una forma di umorismo nero un certo sguardo decrescente e pensare che sia una quasi via d’uscita. Sogniamo una città semideserta.

Molti e diversi sono i vantaggi di stare a casa.

Non avrai tentazioni di spendere dei soldi, visto che è così difficile stare per strada senza praticare una forma di shopping. Certo, potresti spendere online, ma se condividi la nostra prospettiva, avrai già avuto cura di disdire la tua carta di credito e ti sarai formato la solida convinzione che non è una buona cosa alimentare i giganti del commercio elettronico. Avrai ridotto l’iva a debito e impercettibilmente le pretese della bestia.

Non ti sarai esposto a telecamere, droni e altri dispositivi intelligenti operativi e venturi, affamandoli di dati e lasciando tracce solo nella dimensione dell’assenza, così piena di cose ed eventi.

Farai del bene all’ambiente, evitando di spostarti a combustibile fossile. Se non esci, non prenderai una multa. Sarai guida sul sentiero che unisce immobilità e salute, meno incidenti in strada e meno denari nelle casse del Piccolo Leviatano. Come pensi che si traduca Smart City in italiano? La Città delle Multe.

Ti preparerai da mangiare e condividerai con i tuoi cari, e se la famiglia è un inferno, puoi cenare solo e in silenzio, che è lo Yoga della Nutrizione. Non aver fotografato piatti, non aver scritto recensioni, non aver partecipato a corsi e degustazioni, aver lasciato la Food City alle sue tenebre, tutto ti sarà reso settanta volte sette in spazio spirituale.

citta_opportunita