Giovanni Bianco ha affinità con il legno. La cantina, pulitissima, è anche un piccolo laboratorio di falegnameria. Vedi? quello ha messo in vigna i pali di cemento, che durano di più, ma io preferisco i pali di castagno, perché il legno perdona, e siccome col trattore prima o poi ci vai dentro, se è un palo di legno non devi rifare tutto.
Quando lo vedo cerco sempre di imparare qualcosa, stavolta gli chiedo dei tannini. I tannini servono ad affinare il vino. Sono nell’uva e sono nel legno. Ora per noi il legno è il rovere, ma una volta le botti erano comunemente di castagno, più raramente di gaggìa, di acacia, che è un legno più duro e pregiato. Il castagno lascia il colore, i suoi tannini sono astringenti.
I francesi poi ci hanno imposto il rovere, che rilascia dei tannini più morbidi, più rotondi. E’ la tostatura delle barriques che dà la vaniglia, l’operazione di tostatura è molto bella.
Ma oggi puoi usare i truccioli per i tannini, e se no ci sono direttamente le polveri — sembrano caffè, ci sono al gusto che vuoi: vaniglia, vinaccioli, spezie, frutta. Ma gli assemblaggi non sempre sono armoniosi.
Grandine
E’ peggio di uno zingaro che ti ruba in casa. Per Angelo Ferrio la grandine è un fatto personale. Questo poi è il periodo peggiore, perché incide sulla quantità dell’uva e sulla qualità del vino — l’uva è dura e le necrosi te le porti dietro fino alla vendemmia.
Mi aveva già beccato l’anno scorso. Una volta era perché qualcuno non andava a messa: mi ricordo mia mamma che buttava il crocifisso nel cortile quando c’era temporale, o un ramo d’ulivo, e poi si pregava. Ma oggi chi prega qua? Se avevano ragione i vecchi, mi toccherà tutti gli anni…
Gaggi
Quando ho confuso Canelli con Santo Stefano Belbo, Gianluigi Bera, produttore di vini in coltura biologica, mi ha spiegato che errore storico stavo facendo. Per noi di Canelli quelli di là dal Belbo sono gaggi, da gathari – nelle Langhe a Monforte per esempio ci fu un centro di resistenza catara importante – cioè gente selvatica, che si arrangia, di cui fidarsi sì e no.
La nostra è un’azienda deguidizzata, come ci sono i comuni denuclearizzati. E c’è la sua ragione. Non abbiamo un enologo che lavora sul gusto del vino con in mente le guide. Non siamo wine-maker orientati alla piacevolezza. Mentre domina questo gusto infantile di vini fruttati morbidi, con tannini rotondi e assenza di acidità, noi facciamo dei vini più spigolosi, con tannini acerbi, con profumi vinosi e non di banana. I nostri vini sono il risultato di quello che il cielo e la terra ci danno in quell’annata particolare.
Si può essere biodinamici in vigna e convenzionali in cantina, come Barosi di Cascina Corte, che si fa seguire da un enologo come Caviola. E si può essere autentici in cantina e tradizionali in vigna, come i Verrua di Cascina Tavijn. Ma un vino esprime il terroir quando in vigna e in cantina segui con coerenza una stessa logica.
Noi facciamo tre fiere all’anno, Fornovo, Asti e Villa Favorita, dove ci sono molti produttori biologici o biodinamici francesi. Ho smesso di frequentare Critical Wine perché ci trovo troppa confusione e mi ritrovo a fianco di un industriale del vino come Giacomo Bologna.
Mi trovo bene coi francesi, produttori e pubblico. Il consumatore francese assaggia tutto, ti rispetta e ascolta, mentre quello italiano pretende di spiegarti lui il vino e ha sempre in mente qualche vino favoloso della memoria.