Valdibella agricoltori.bio

Dal 3 giugno 2016 è aperto a Torino in via Genè 5 un punto vendita bio a filiera corta, dove fare una spesa bio non svuota il portafoglio. Si chiama Valdibella agricoltori.bio . In primo piano sta il fresco (frutta e ortaggi) e lo sfuso (legumi, cereali, frutta secca e altre materie prime). Vi si fa anche del pane con una forte personalità e un po’ di cucina da campo.

Il vino c’è, ma in secondo piano. Vinologo è tra i soci fondatori dell’impresa. Perché?

C’è con la Cooperativa Agricola Valdibella una consuetudine ormai decennale, diventata amicizia. Quando incontro le persone della cooperativa siciliana, sempre rimango colpito dalla pazienza, dall’assenza di disperazione, dalla fiducia interna che le cose buone vanno un passo alla volta. Ne esco un po’ guarito, come la donna che Gli toccò la veste in mezzo alla folla.

C’è l’apripista, il Marché Bio des Tanneurs a Bruxelles, visitato due volte, trovato un posto molto vivo, nel segno della qualità senza nome. Valdibella agricoltori.bio è su quelle stesse orme.

C’è il progetto, che è un progetto di mercato – evitare il modello convenzionale del bio, dominato dalla logistica, che mette in tensione il consumatore e il produttore, offrire un bio popolare – ma anche uno stile di vita: stare essenziali, ricordare che le piccole cose in cui ci perdiamo sono su uno sfondo più grande di noi.

Robiole

OLYMPUS DIGITAL CAMERAGiornata che piace all’oidio, un sole sporco e una brezza malata del duro luglio 2010. Qualche ora con Claudio Solito della Viranda, su una strada in cresta da San Marzano Oliveto a Roccaverano, passando Belbo e Bormida, in visita all’eroico odierno, Marco e Fabrizio della Masca, allevatori di capre e fabbricatori di robiole.

Il mal bianco rimembra campane e sirene che allarmavano le colline pei trattamenti fino a 15 anni fa, quelle dalle parrocchie e queste dai consorzi. Oggi è silenzio, l’occhio può andare a leggere in municipio gli elenchi di prodotti chimici da dare, prontuari politicamente corretti, a un prodotto Bayer segue un prodotto Agrifarma e via bilanciando.

Questo silenzio delle campagne mi ricorda uno sfogo di Giovanni. E poi mi vengano a dire che la qualità della vita è migliorata. Quello là vent’anni fa lavorava con venti chili sulle spalle a dare il verderame e cantava tutto il giorno. Oggi che c’è il trattore e tutte le comodità, bestemmia peggio di me, che se passa don Romano ci squalifica tutti e due.

Altro secolo, altro male. Anche qui in cresta, dove le pendenze non fanno gola alla meccanizzazione e l’ambiente è sano, la flavescenza imbrunisce una vigna qua una vigna là, in mezzo tutto bene. Lo scafoideo risulta più imprevedibile del dado, non sai se si muove o sta fisso. Esiste una spiegazione olistica della flavescenza, la vigna forzata a produrre è quella soggetta a malarsi, ma l’osservazione smentisce. Ci sono i trattamenti obbligatori, ma tutti sanno che servono a niente, a parte l’industria chimica. E’ un male che si conosce poco, neanche i francesi lo hanno inquadrato. Non sarà un’apocalisse, si convivrà.

Chi convivrà? Il 60% della forza è oltre l’età della pensione, e non ci salveranno i rumeni. Molte terre in vendita, con 1 euro e venti al metro prendi belle posizioni. Il problema sono le case, se le accaparrano svizzeri e pure americani. Assisteremo alla divisione tra terra e case, chi lavorerà non abiterà.

Per Claudio cosa urgente è separare la piccola azienda agricola dall’agroindustria, non deve la prima avere gli stessi obblighi formali e fiscali della seconda. Lasciare correre il piccolo, non imprigionarlo per i salami fatti in casa, non chiudergli il laboratorio non piastrellato fino a 2,40, non torturarlo per un’etichetta fuori norma. Così si affronta la notte prossima ventura, di nuovo un’agricoltura di sussistenza, con l’orto, gli animali e il ciclo della fertilità. Prima la pancia piena, se no sommosse.

Nella piccola azienda sarà sempre il titolare a guidare il trattore. Se infatti accadesse un infortunio al salariato, l’Inail obbligatoria pagherà il salariato ma si rivarrà sul titolare con i mille obblighi di legge inosservati. Se invece si fa male il titolare a Rocchetta Palafea, l’Inail obbligatoria lo pagherà 7 euri dopo la franchigia e l’obbligo penale di presentazione ad Asti per la firma. Scommettiamo che l’Inail è in utile? Scommettiamo che l’agricoltore coscienzioso si fa un’assicurazione privata?

E’ l’Associazione Rurale Italiana che si occupa di promuovere una proposta di legge sulla piccola proprietà agricola. Fanno festa alla Viranda l’ultimo di questo mese.

Siamo alle robiole infine. Ecco gli isolati da medaglia al valore civile, le sentinelle del nulla, i bisognosi di silenzio, le guardie dei muri a secco, gli allevatori di capretti da latte materno di fronte ai camion di bestie orientali da 2 euri al chilo. Scommettiamo che uno studio di settore si occupa anche di loro?

Novembre pecorino

asciuganoPrimi di novembre, appuntamento con il vino novello in damigiana. Lo fa Giorgio Ferrero a Pino d’Asti da uve freisa. Quest’anno, a evitare la burocrazia del titolo novello, è un vino da tavola. Ma la sostanza — parola chiave 2009/2010 — è sempre quella. Vinificato a macerazione carbonica per esaltare i profumi primari e il colore profondo e brillante. Niente trucchi, niente tagli. Beaujolais, Freisolay.

Giorgio lo fa da vent’anni, ha provato tutte le varianti. Macerazione carbonica vuol dire rovesciare le cassette di uva in un contenitore d’acciaio, saturarlo di anidride carbonica e sigillarlo. Normalmente sta così 10 giorni, Giorgio lo lascia qualche giorno in più. Dentro, qualche acino si rompe e il succo comincia a fermentare creando altra CO2, qualche acino rimane integro e quando lo tiri fuori è gonfio e croccante. Dopo questo periodo, si toglie la massa d’uva e mosto dalla vasca e si pigia normalmente. Molti tolgono presto dalle bucce, Giorgio lascia ancora tre giorni. Quest’anno il suo novello fa 14 gradi.

Gli chiedo chi ha inventato la macerazione carbonica. Boh, sicuramente è nato per caso, qualche francese ha lasciato dell’uva in tino sigillato e poi ha cominciato a ragionare. Giorgio Ferrero è impegnato col PD, pensa che la colpa sia delle banche e la soluzione sia una patrimoniale.

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Edoardo Bresciano è stato tentato dal sindacalismo agricolo, poi considerando con più attenzione il tipo di agricoltore della provincia di Cuneo, ha pensato che meglio fosse farsi gli affari propri, tirare su qualcosa di bello nel suo orto a Savigliano. Ha letto due volte il Dilemma dell’Onnivoro, si è innamorato anche lui di Joel Salatin e ha adottato in modo personale il suo metodo di recinti mobili per pascolare le oche. Ha comprato dei riproduttori e un’incubatrice, vuole crescere i propri animali, sono più grossi e più belli.

Edoardo legge Steiner. Per essere certificato biodinamico dovrebbe frequentare un ciclo di diciannove incontri di tre giorni ciascuno. Ma io lavoro in campagna, come fanno a pensare che possa partecipare a una cosa organizzata così.

Mi piace molto il percorso di Edoardo e per accompagnarlo voglio vendere almeno un quintale di salami d’anatra del Corsaro e di cotechini d’oca, che non ci sono a Eataly.

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A proposito di vini per caso. Sergio Delai aveva in mente un passito dalle uve rosse che si coltivano sul Garda Bresciano, groppello marzemino barbera e sangiovese.

Appassisce a ventilazione forzata, fa una macerazione lunga e mette in barricche. Confida che l’alto grado alcolico blocchi da solo la fermentazione. Ma qualche volta il grado alto non basta. Il suo passito prosegue la fermentazione, consumando più zuccheri. Ottiene un vino inclassificabile, un piccolo amarone spaesato. L’abbiamo chiamato Ron Ama Ron. In questo momento ho una carta dei vini che mi sembra di allenare il Real Madrid.

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Stato a Fornovo, fiera dei vini bio e naturali. Qualche edizione fa era una cosa frequentabile, oggi è una baraonda in cui scambiare due parole è un’impresa. Prezzi alti e solo bottiglie da tre quarti, mi sento un po’ fuori luogo.

Lacerti di discorsi. Il biondo di Ca’ de Noci mi fa assaggiare la sua Spergola rifermentata in bottiglia. La senti questa freschezza acuta, quasi dolorosa. Cambio banchetto.

C’è Pietro del Consorzio, che mi critica perché non mi è piaciuto il Cremant d’Alsace di Binner. E’ ossidato voluto, non bisogna avere tutti questi pregiudizi. M-m.

C’è Barosi, impressionato perché la folla non si divide equamente tra il banchetto del Pommard bio e il suo nebbiolo bio. Poco interesse per il Piemonte, dice. L’ultima volta che sono andato a prendere da lui del dolcetto, l’ottimo Pirochetta, mi ha aperto la cantina un rumeno, la porta di casa una peruviana, mi ha porto la fattura un’americana e sullo sfondo un’italiana faceva le pulizie. Manco in Chianti, ho pensato. Ci sono un mucchio di aziende bio toscane condotte da milanesi.

Mi è piaciuto il contadino di Monteforche, a Vo sui Colli Euganei. Mio nonno andava a prendere il vino a Vo, e oggi il fratello di mia mamma. Ricordo Vo come un posto del cavolo e gli ho chiesto cosa gli piace di Vo. Mi ha detto guarda che i Colli Euganei ti stregano. Non aveva biglietti da visita e neanche bottiglie da vendere. Appena posso vado a trovarlo, e penserò a mio nonno e a mia nonna.

Ma lo squarcio nella mia breve permanenza a Fornovo l’ho avuto pur io. Un uomo di 100 e passa chili pranza di fronte a me, troppo rude all’aspetto per essere un viticultore bio. Lo ritrovo fuori che fuma. Chiedo se è un visitatore. No, sono qui col pecorino. Pecorino da dove? Da Scanno, 100 chilometri a sud dell’Aquila. Terremotati? No, altra faglia. Sto a 1300 metri d’altezza tutto l’anno tranne l’estate. L’estate salgo a 2000. Tengo 1500 pecore, 40 vacche, 40 capre, maiali, conigli, e trenta cani. Trenta cani? Per tenere insieme le pecore? No, per difesa. Difesa da che? Dalle bestie selvagge. Lupi. Linci. Orsi. Anche le bestie selvagge sanno che l’uomo è l’animale più cattivo, e sanno che dove latra un cane, c’è un uomo.

Per tutto il viaggio di ritorno ho sognato l’Abruzzo.