Dieci anni di barolo

cavagneroCarlo Cavagnero è un altro vignaiolo per scelta, un outsider. Dopo 12 anni in Italgas a vendere impianti industriali, un sogno di famiglia, bambini e natura lo spinse verso il vino. Svolta metodica: si mise a studiare all’università e all’Onav, comprò una vigna a La Morra, poi un campo, poi altri, poi la casa da rifare, la cantina da rimettere a posto.

Il primo barolo fu quello del ’95. Con quelli del ’99, 2000 e 2001 ebbe una nomination tra i primi dodici su Decanter, che lo definì velvet over steel, e vinse il Wine Challenge di Londra del 2002. Si aprirono alcuni mercati, gli USA e il Canada. E tutto questo senza fare parte di alcuna consorteria del gusto. Anni buoni.

Cavagnero è un tradizionalista, come Conterno e Mascarello, non un barriquista come Clerico, Altare e Cugno. Ma il peggio è non seguire una linea, e passare da un metodo all’altro solo perché i giornalisti hanno decretato che la barrique è superata. I risultati sono spesso modesti se non pessimi.

Il vino è buono se sei bravo in vigna. Cioè se tagli. Sei gemme per il dolcetto, ma ne tagli ancora due, in modo che faccia 4 tralci e un grappolo per tralcio. Nove gemme per il nebbiolo, ma le prime due non fruttificano. Per il barolo interviene anche sul grappolo, eliminando la parte in fondo, dove si concentra l’acidità.

Eppure oggi non sa se rifarebbe tutto. E’ che questo lavoro ben fatto non trova gratificazione nel mercato. Gli tocca vendere il suo barolo sfuso, che andrà a tagliare altri baroli meno buoni. Tornassi indietro, comprerei di nuovo una vigna, perché è l’unico modo per essere sicuro di bere bene. Ma credo che manterrei la cosa in una dimensione domenicale, non so se ho fatto bene a farne la mia vita intera: in questo momento non vedo bene il domani del vino.

Il caso e il sauvignon

sauvignon_2  Sandro Barosi ci ha detto più di una volta di provare il Sauvignon di Boschis, che è una cosa eccezionale. Quando abbiamo avuto occasione di prenderne qualche bottiglia, abbiamo chiesto a Mario di raccontarci la storia di questo vino.

E’ una storia bella e brutta. Nel ’94 volevamo piantare del bianco, un po’ per consumo famigliare un po’ per sperimentare. Scartati Favorita e Cortese come vitigni molto produttivi, scartato l’Arneis che è tipico del Roero e non di queste zone, rimanevano i vitigni internazionali, Riesling, Chardonnay e Sauvignon. Io preferivo il Sauvignon per certi suoi profumi di foglia di pomodoro. Ne piantammo tremila metri da vivaio.

Il primo anno di raccolta, il bostrico – un insetto grosso come una formichina che buca il legno – attacca solo il Sauvignon. Addebitiamo la scarsa resa delle viti al bostrico. Ma negli anni successivi ci troviamo di nuovo con delle rese bassissime e un vino con un grado alcolico di 14, 15, perfino 16. Così indagando scopriamo di avere impiantato senza saperlo un clone particolare, l’R3, che di solito viene usato in modo diverso, una vite ogni tanto per dare struttura e corpo al vino.

Io volevo reimpiantare con dei cloni più produttivi, ma mio figlio Paolo diceva di lasciare stare, meglio poco ma buono. Oggi con 1300 viti produciamo 600 litri di Sauvignon, una resa del tutto antieconomica per un vino che ha una circolazione poco più che clandestina. Ecco, è una storia bella perché il vino è buono, brutta perché non ce n’è.

Bio quasi dinamico

barosinv Sandro Barosi è insieme ad Amalia Battaglia l’anima di Cascina Corte a Dogliani. Vignaiolo per scelta, non per tradizione famigliare, è sensibile a un’idea biodinamica dell’agricoltura, ma fatta più di sperimentazione ed esempi che di rigore teorico.

Me, è stato Gianluigi Bera a insegnarmi che se non dai prodotti, la roba vien su lo stesso. Un anno l’agronomo mi ha cambiato i prodotti sei volte in otto mesi, lì mi è venuto qualche sospetto. Ho un amico vicino a Perpignan, del Domaine de la Rectoire, con delle vigne su scisti quasi sul mare. Beh, da quando ha smesso di dare diserbanti e lavora la vigna col mulo, il vino è cambiato da così a così. E’ zona di Banyuls, anche se io col cioccolato preferisco il Sagrantino.

Anch’io voglio provare col mulo. Se il gasolio continua così, mi sa che ci proveremo in tanti. Quando abbiamo comprato la Cascina Corte, c’era il corredo completo per lavorare la terra col bue, ma il bue è complicato, ci vuole più manutenzione, devi tagliargli le unghie, farlo riposare, e poi è un capitale.

Il mulo tira calci, ma è meno impegnativo. Ci sono delle lavorazioni, come l’aratura, che col mulo potrebbero essere fatte molto meglio che col trattore, e senza costipare il terreno coi cingoli. Sì, ci voglio provare anche così, per fare un po’ di spettacolo, e vedere cosa dicono gli altri contadini…

Vino fatto di nulla

cquarelloC’è qualcuno che si reinventa vignaiolo sulle ceneri della propria storia, ma molti vini accompagnano l’evoluzione di una famiglia e devono più di qualcosa al legame di un padre e un figlio. Se conosci  Valerio Quarello senza conoscere suo padre Carlo, non cogli un aspetto del loro grignolino e barbera, un carattere affabulatorio portato alla divagazione.

Eppure Carlo pota preciso, nove gemme per pianta. Siamo così piccoli da essere invisibili e ogni anno sono sorpreso che qualche guida di Slow Food si ricordi di noi. Fino all’84 vendevo le uve, poi ho deciso che potevo provarci per conto mio. Qui a Cossombrato fino agli anni ’60, alla grande migrazione a Torino per la Fiat, era tutto a vigneto. Oggi fanno agricoltura da sussidi, su pendii mica tanto ragionevoli per il grano, la soia o l’erba medica – e adesso per le erbe officinali.

Un chilo di uva grignolino sta a meno di un euro, la metà per uve barbera. Allora che ci sia del vino che si vende a 80 centesimi mi rende perplesso. Una prima ipotesi è che sia vino invenduto, una seconda che sia vino torchiato. Una generazione addietro c’era l’idea di torchiare fino a quando le bucce fossero bianche. Spremi ancora un po’ di colore, aggiungi zucchero, aggiungi alcol. Se l’etilico ha le tasse alte, aggiungi il metilico, quello che usiamo per disinfettare. Ti va male proprio solo se sbagli le dosi, e quel medico del Niguarda considera che quei venti affetti da cecità del suo reparto hanno una cosa in comune, l’alcolismo. Commercianti che hanno fatto fortune con questo sistema e in Val d’Aosta poi, che sarebbe più popolosa oggi se non avessero fatto tanto consumo di torchiato trent’anni fa. Vino fatto di nulla, quando va bene.

E poi c’è il vino di carta, un effetto del sistema dei doc. Fino alla resa del disciplinare costa 2x, oltre diventa vino da tavola e costa x. Che seria contabilità eh? Il sistema dei doc alla fine non ti garantisce nulla, forse solo una provenienza territoriale, ma meglio non indagare troppo…

Degustare

apparatoMai letto una guida dei vini? Ti è piaciuto il modello delle degustazioni editoriali professionali? Quello che metti il naso dentro il bicchiere, metti il vino in bocca, fai dei gesti e dei versi, poi sputi in un secchio e avanti un altro. L’idolatria della sensazione, il vino oggetto. Vino urbano, vino enoteca, vino lusso anche quando è quotidiano. Vino scientifico, vino semplicemente-presente. Vino sputo.

Invece vino quotidiano è vino soggetto, chi lo fa e chi lo beve. Vino corpo, vino Dasein. Vino tempo. Vino pranzo. Vino dilettante. Ci vuole un altro modo di degustare. Un po’ come faceva Junger per altre sostanze — preparazione, un mentore o un custode, tutto il tempo necessario, non l’esperienza atomica.

Perciò la scheda degustazione dovrebbe essere narrativa e tenere largo conto del contesto: luce o buio? in compagnia di chi? quale l’umore, la circostanza o la celebrazione? cosa accompagnava? effetto triste o allegro? quali pensieri e ragionamenti? sedato o eccitato?

Vignaioli part-time

tumiotto Cercavo del prosecco con il rapporto qualità-prezzo fuori dalla zona doc. Così ho incontrato Fabiana e Tiziano Tumiotto di Salgareda, nella piana del Piave a 30 km dal mare.

Crederai mica che tutto il prosecco di Valdobbiadene viene da Valdobbiadene o il cartizze da Cartizze? Ce n’è che vengono a prenderlo qui da noi per venderlo come fatto a Valdobbiadene, e qualcuno che dice che da noi è anche più buono. Perché la terra qui è argillosa e buona per il vino, in particolare per i rossi.

Tiziano Tumiotto cura 5 ettari di vigne e produce prosecco, chardonnay, verduzzo, cabernet franc, cabernet sauvignon e malbec. L’attività agricola e vinicola coinvolge anche la moglie Fabiana e il figlio Lorenzo, ma tutti a tempo parziale. Tiziano ha un impiego in posta, Fabiana lavora all’ospedale, Lorenzo è impegnato col nuoto ad alto livello. Poiché il vino richiede fatiche ed energie, questo vuol dire giornate che non finiscono mai, a travasare o filtrare. Eroismo part-time, entusiasmo e prudenza, mutui per la cantina senza rinunciare a uno stipendio fisso — la strada per stare sul mercato di questi vignaioli della marca trevigiana.

Un passo alla volta perché tutto è complicato e si consolida col tempo. Imbottigliare può essere un problema per un piccolo produttore come me: te non sai quante volte succede che un imbottigliatore ti mette in bottiglia un vino più scadente del tuo. Comunque piano piano porto avanti le mie ambizioni, il prossimo anno prendo delle barriques e ci metto il nostro cabernet sauvignon, che è un vino adatto all’invecchiamento.

Piccoli produttori indiani d’America

aferrioSe non ci fosse stato Slow Food, oggi sarei operaio alla Ferrero, giuro. Angelo Ferrio produce arneis, barbera, nebbiolo, roero a Canale. Lo fa con l’orgoglio contadino di chi ha orari zingari tra la vigna e la cantina. Eppure oggi è venuto meno l’entusiasmo, ed è successo così, dalla notte alla mattina. E se i giornalisti, e anche quelli di Slow Food, non riescono a spiegarlo alla gente che il vino fatto bene ha un prezzo, il rischio che corriamo è l’estinzione dei contadini-vignaioli.

Fino al ’94 noi vendevamo il vino sfuso, e l’80% del fatturato lo facevamo con un paese solo, Giaveno. Non ti so dire come mai, venivano giù una volta l’anno, gli zii, i cugini e gli amici di Giaveno tutti insieme, e compravano damigiane fino a che non erano tutti fradici. Poi Slow Food ci ha spiegato che c’era un mercato per i piccoli vignaioli e ci ha motivato a investire nella tecnologia e nella cantina. Ma adesso vedo che tornano i pezzi grossi, fanno cinquemila bottiglie di vino magari migliore del mio e 6 milioni di bottiglie di altro, che o è chimica o è uva che viene da chissà dove. Perché tirassimo su un muro ermetico sui bordi del Piemonte, vorrei vedere dov’è l’esubero.

Quando c’è stato lo scandalo del metanolo, noi piccoli produttori abbiamo avuto pietà dei morti ma esultavamo, perché finalmente veniva fuori la verità. Ma guarda che oggi siamo di nuovo lì, hanno solo aggiustato meglio le dosi. E se non succede niente, i pezzi grossi ci compreranno noi piccoli produttori uno per uno, ci faranno fare la fine degli indiani d’America.

Dogliani

pboschisPaolo Boschis insieme al papà Mario produce dolcetto di Dogliani, ma anche Freisa, Grignolino, Barbera e un Sauvignon in purezza di cui dicono un gran bene. Le vigne sono al limite della zona doc del dolcetto, a 500 metri d’altezza. Il dolcetto Vigna dei Prey è stato premiato da diverse guide per il rapporto qualità-prezzo.

Il 2005 sarà ricordato come un’annata normale. Gli ultimi venti giorni prima della vendemmia non sono stati buoni. Il dolcetto è all’altezza del 2004 e 2003 per il naso – non senti la frutta matura, ma senti la rosa e la ciliegia – come corpo invece non ha la potenza delle annate precedenti.

Forse non tutto il male verrà per nuocere, perché sembra che il gusto stia cambiando verso vini più semplici. C’entra anche il prezzo, ma in effetti per avvicinare un territorio forse è bene non cominciare dai vini più complessi.

Il dolcetto di Dogliani sta per diventare docg, con la denominazione Dogliani. C’è stata discussione su questo punto, non tutti erano convinti che separare il vitigno dal territorio fosse una buona cosa – chi esporta per esempio teme che nascano equivoci. I grossi – tieni presente che l’80% del mercato del dolcetto di Dogliani è fatto da Gilardi di Farigliano e dalla cantina sociale di Clavesana – i grossi dicevo volevano che tutto il dolcetto di Dogliani doc passasse a docg, ma alla fine ha vinto la posizione dei piccoli produttori, che il docg coinvolgesse solo le vigne migliori, con delle rese più basse e l’obbligo dell’invecchiamento di un anno.

Vino sfuso/vino imbottigliato

gbiancoep Giovanni Bianco, qui con suo papà, è vignaiolo in Calosso, zona vocata per un barbera più quadrato che tondo. Gli abbiamo chiesto che differenza c’è tra il vino sfuso e il vino imbottigliato.

La differenza è il tempo. La bottiglia non solo arriva da una vigna migliore e più vecchia, ma è invecchiata in legno due anni. Io non filtro neanche, lascio che i tannini ci pensino loro a mettere in quadro il vino, però la botte va rabboccata, ci va tempo per il barbera. Comunque la vinificazione per lo sfuso e le bottiglie è la stessa, stessa pulizia, stessa scelta dei grappoli. So che qualcuno vende lo sfuso a meno di me, ma ci mette di tutto dentro, non sceglie, è roba che io non pigerei nemmeno. Poi una botta di freddo per depositare i tartrati, una botta di caldo per la malolattica, e hanno il vino a Natale… Ma ci vuole tempo per il barbera…

Grignolino

vquarelloQuando Valerio Quarello di Cossombrato voleva smettere di studiare per fare il vignaiolo, suo padre disse – Guarda che vendere il grignolino non è come vendere il barbera o il nebbiolo. Vendere il grignolino è una missione, il vitigno è complicato e il vino difficile -. Questo succedeva otto anni fa, oggi Valerio ha 30 anni.

Siamo vignaioli almeno da mio bisnonno, che andava a Torino a vendere il vino col bue. Siamo vignaioli autodidatti, con molta esperienza e le insicurezze dell’autodidatta. Prevedo che entro un tot di anni ci vorrà un patentino per fare il vino, con altri paradossi, come si può vedere dagli enologi che sforna l’università, che vengono a dirmi come si fa il grignolino dopo aver fatto una tesi sul passito di Pantelleria.

La differenza tra vino sfuso e imbottigliato sta tutta nella selezione delle uve. Il grignolino infatti è molto discontinuo, la resa e la maturazione varia non solo da vigna a vigna, ma anche da pianta a pianta.

Per me il vino quotidiano è il grignolino. Facilita la digestione, si vede che la sua acidità si sposa bene coi succhi gastrici. Lo consiglio persino come rimedio quando hai mangiato male, o magari bevuto male, come capita spesso anche al ristorante, ed è in atto quel processo di saponificazione nello stomaco: mezzo bicchiere di grignolino mette a posto meglio di un amaro.