Deutsche Dogliani

Ma come può durare?

Quando T. nel Roero fece la cantina a norma, si accorse che lavorarci era impossibile. La adattò per l’uso e non fu mai più a norma. Idem per il trattore: quando lo compri nuovo, la prima cosa che fai è togliere tutto lo scatolame di sicurezza, altrimenti neanche arrivi al cardano. O sei in regola sdraiato sotto il fico, o fatichi irregolare.

A Barosi capitò un controllo della Repressione Frodi lo stesso pomeriggio in cui lo controllavano due carabinieri. S’incontrarono sulla soglia, quelli che entravano e questi che uscivano. Scusate, ma se dedicate tutta questa energia a me che faccio ventimila bottiglie, quante volte andate da chi ne fa un milione? Risposero che dal milione non andavano, perché aveva qualcuno a busta paga per occuparsi delle norme.

Quest’anno gli hanno contestato l’etichetta del Langhe Nebbiolo doc. Doveva essere Langhe doc Nebbiolo. Fa da quattro a quindicimila euri, grazie. Se uno poi volesse chiamarsi fuori dalle doc infami, non potrebbe scrivere imbottigliato all’origine, perché origine è riservato alla o di doc. Nè potrebbe scrivere dall’azienda agricola pinco, ma solo pinco, non chiedermi perché, tutto per la tutela del consumatore. Riflettiamo sulla perversa piegatura del linguaggio, sul significato sradicato ma autorizzato d’ufficio.

Li conoscerai dai loro frutti.

I controlli erano conseguenti a controlli sugli enti certificatori, perciò mirati ai pochi produttori biologici. Ecco che toccò anche a Reichmuth, colpevole di avere scritto l’anno di vendemmia su un vino senza doc. Fa da quattro a quindicimila euri, grazie. Reichmuth con le lacrime agli occhi, di rabbia denke ich. Nessuno potrà capire, quando lo racconterò in Svizzera.

Conosciuto Reichmuth un anno fa, un vero spirito libero. Si definì omeodinamico, biodinamico omeopatico. Da anni coltiva naturale spinto, rifiutando anche il rame. Con risultati: tornano le formiche a mangiare i pidocchi, ad aerare il terreno. La flavescenza c’è sempre stata, ma si portava via tre piante l’anno, non diecimila. Il vero segreto è non far nulla, come sapevano in Borgogna fino agli anni ottanta, inizio della modernità.

Chiesi da quanti anni era qua a Dogliani. Disdöt. Si rivolse alla moglie in tedesco, poi di nuovo a me. Tra nuiauti parluma nen piemunteis.

Marcelin ‘d San Luis, così lo chiamano a Dogliani.

Ancora convinto, chiesi. Sì, ma il paese fa schifo, troppa burocrazia, troppe leggi, tutta la tecnologia diventata strumento di controllo.

I suoi vini hanno il problema di non essere tipici per doc e fascette. Dolcetti invecchiati, anche del ’99, cinque anni in botti da 50 quintali e anni poi in bottiglia, diventano dei cru di borgogna per complessità. Merito dei tannini, veri responsabili del vin de garde. Sì lo so, dissi, costano 500 euri al chilo. Sorrise…

Confronta il livello psichico dello zelante impiegato della Repressione Frodi e quello di Marcelin ‘d San Luis, poi dimmi che effetto ti fa dover andare a cercare l’anno nel numero di lotto sull’etichetta della sua bottiglia. Ti fa vomitare? Di rabbia denke ich.

Montpellier

Stato a Montpellier a Millésime Bio 2012. 500 banchetti di vini bio da tutto il mondo, ciascuno corredato da bottiglia mathusalem a raccogliere lo sputo del grossista, dell’importatore, del distributore. Uno farebbesi l’idea che il vino bio più che bersi, sputasi.

Ciascun banchetto costa 2000 euri. Volendo sottoporre il tuo vino bio a commissione di esperti, sborsasi ancora qualche centinaio di euri. Così il tuo vino bio non si limiterà a stare sul banchetto, ma alloggerà anche tra le teche medagliate. E’ la via breve per i grossisti di fretta.

Il tutto situasi in hangar periferico colossale di cemento armato non proprio steineriano. Cosa spinga un produttore bio con pretese di singolarità territoriale ad abitare tanto inautentico, provoca malinconia.

Se per conoscere un vino segui la via lunghissima – sopralluogo fisico, scambio di parole, assaggio in situ, asportazione di bottiglia, studio in pasto abituale – il tuo vignaiolo sarà chi abita dove lavora, chi in un certo senso ti aspetta.

Mentre ero a Montpellier se ne andava sazio di anni Franco Destefanis dopo un ultimo tribolato. Un cruccio esula dalla cristiana rassegnazione della moglie, che la macchina ospedaliera l’abbia fatto morire a Cuneo, invece che nella sua casa di Montelupo Albese, da cui mai si era mosso.

Ponente ligure

Soldati poteva trovare Liguria voltando le spalle alla costa e addentrandosi. Quel che sta su oggi di territorio è fatto a enclave e talvolta non si estende oltre un individuo, la mappa è esoterica e orale, il quasi tutto è fatiscente inospitale predatoria Liguria.

Molto dietro Albenga bevi Vio e mangia alla Baita di Gazzo. Fatti mostrare gli orti che il Marco apre tra i rovi e comprendi cos’è una filiera corta. A estremo Ponente mangia da Delio ad Apricale, da Magiargé a Bordighera Alta e bevi Rossese Dolceacqua.

tino_01Se ti piace bio lo berrai di Danila Pisano. Vino ampio, questo è giudicato rustico, eppure vellutato e gentilmente animale. Lo fa Tino, il moroso della Danila, in cantina piccola e su muretti terrazzati, poco trattore e molta spalla. Nessun lievito, nessun legno. Quattro o cinque anni di potenziale invecchiamento, ma Soldati volentieri lo beveva più vecchio.

Poche mila bottiglie che da Soldano in valle Crosia prendono la via di paesi lontani, mentre in loco si consuma Primitivo. Mentre cadono i muri a secco, e cade la statica istintiva di pietre grandi e pietre piccole che il rumeno non si può inventare.

No Borgogna

Francia 2011. In Costa Azzurra clima da ultimo giorno, oggi ti rapino, domani que serà serà, finisce che si sta meglio in Liguria.

Nella Bresse membri del Rotary leggono nel declino della cucina francese la decadènce della nazione. Tornano da una vacanza in Croazia con la Guida Michelin.

Sulla Côte d’Or è cominciata la vendemmia, prima il pinot noir poi lo chardonnay. Piove. Paesi prestigiosi affollati di turistica gioventù malvestita, manodopera che da noi non si può più, neanche il cugino senza voucher.

Mi fermo a Mersault presso un domaine elencato come uomo libero, si liberano sbrigativamente di me, pas de degustation ni de vente.  Mi fermo a Volnay presso un rebelle, idem, desolé mi dice mentre chiude un cancello. Non so cosa pensare. Che abbia l’aspetto del degustatore a ufo? Che non si capisca che pago bene e subito? O che non sia posto da andarci senza mediazioni, da guardarsi in faccia, vuoi per quella strana medaglia che è la globalizzazione del terroir, vuoi per il benessere?

O che gli elenchi non valgano una cicca, bio o non bio, uomo libero o in catene.

Niente Borgogna dunque, ma Maconnais e Côte Chalonnaise, dove c’è un po’ più accoglienza, e quest’anno Jura. Presso un uomo libero che faceva la siesta volli del vin jaune. Chi lo fa mai direbbe che è un vino ossidato, piuttosto ossidativo, sei anni in barrique scolma protetto da un velo di lieviti, diventa uno sherry di monte. Vino da grande invecchiamento, concorda col formaggio del posto, il fois gras e il pollo alla crema. Difficilissimo con quasi ogni altra cosa. Eppure all’uomo libero lo domanda mezzo mondo.

Costruttivismo

Finito il dolcetto di Dogliani, chiesto a Barosi se mi suggeriva qualcuno. Prova a vedere dalla Nicoletta Bocca. Sfuso? Non è neanche scesa dal balcone per dirmi di no. Mi sono reso conto meglio del contesto quando ho avuto un breve colloquio con Anna Maria Abbona.

Anche lei mi dice di no. Parliamo della nuova denominazione Dogliani. Lei insieme alla Bocca, Pecchenino, Marziano Abbona, Barosi no solo perché non c’era ancora, è stata uno dei sostenitori della nuova docg, dal ’97 che lottano. Scopo: valorizzazione del territorio. Modello: Barolo. Altrimenti: chiusura delle aziende agricole.

Sono due anni che c’è. Ha funzionato? No, tanto è vero che sta per passare una nuova stesura della denominazione, secondo la proporzione

dolcetto di Dogliani : Dogliani = Dogliani : Dogliani Superiore.

Riflessione teorica. Si può essere biologici e avere una idea costruttivista e non ecologica del mercato. Il costruttivismo è molto più importante nel generare variazioni – innovazioni sociali ed economiche – che nel selezionare quelle che sopravvivranno (Vernon Smith).

Riflessione organolettica (non mettere mano alla pistola, l’uso della parola è qui strettamente ironico. L’indigestione di organolettico te la farai fra qualche giorno, quando apre il Salone del Gusto). Proprio quando il mercato regredisce a forme meno concentrate e riscopre perfino l’abboccato, ce la dobbiamo prendere coi superi dei rendimenti, forzando verso un dolcettone da almeno 14 gradi?

Riflessione politica. Le doc dop docg sono macchine da divieti che alimentano il giustizialismo agrario. Stiano prudenti gli apprendisti stregoni — quei di Bra, l’ex ministro agricolo, i consorzi di tutela — un paese con 10.000 formaggi disciplinati non è solo impossibile da governare, è l’ambiente dove la lapidazione dell’indisciplinato sarà endemica.

Taggiasche

Un giorno a Pieve di Teco, a vedere se è ancora lì quello che vedeva Soldati trentacinque anni fa. No, non c’è più. Il recupero del teatro Salvini, un teatro da qualche decina di posti — piccolo! sognamo di piccolezze le economie e gli spettacoli — non fa argine a un’invadente malinconia. Nei portici profondi, nei fondaci bui c’è meno pace che rassegnazione. Non più oggetti utili, ma le merci della costa, del medesimo. Resiste l’Albergo dell’Angelo, dormici, il dio dell’altrove gradirà l’offerta.

Si scenda lungo l’Arroscia verso il mare e a Borghetto verso Gazzo si salga, si salga. Alla Baita di Gazzo, per una colazione dolce e salata. Dolce di agrumi di Mentone in marmellate di breve cottura, salata di acciughe di fine inverno e olive taggiasche.

gazzo_01Il paese fa 48 abitanti, sazi di anni. Il monte scende ripido, la poca gioventù aiuta il Marco a tenere gli ulivi, a ripristinare i muretti, a disseppelire dai rovi piante ancora vegete. Le vecchie danno una mano alla trasformazione, così che le olive denocciolate e in salamoia, il patè di taggiasche, le confetture, le composte sono d’autore collettivo.

Cifra dell’olio di taggiasca, l’adattamento dell’oliva frantoio in Liguria, è la delicatezza, l’eleganza. Marco coltiva più di tremila piante, molte secolari, spesso in comodato d’uso gratuito, per tenere in vita un pezzo di monte che non si vuol vendere.

La Baita è segnalata sulla Guida delle Osterie d’Italia, aperta nel fine settimana. Dice Marco, non si potrebbe mangiar male, abbiamo una materia prima di eccezione. E come vini? Non solo, ma molto territorio. Anche Vio? Ehi. Quest’anno aveva un vermentino fuori classe.

Avessi due soldi, compreresti casa proprio a Gazzo.

estezargues_01Invece no. Ti metterai in strada, come oralmente consigliato, fino ad Estezargues, dove 320 giorni all’anno sono di sole. E’ vicino a Pont du Gard, il terzo sito più visitato di Francia. A Pont du Gard nella locanda di Caderousse si compie un omicidio nel Conte di Montecristo. Ma tu dormirai qui, dove avrai un’esperienza di savoir vivre al giusto prezzo, compresa una colazione sontuosa in una torre del millecento.

Sirah

L’altr’anno non avrei trovato un vigneron rebelle neanche mettendomi a urlare su una strada di Borgogna. Quest’anno ero sotto la buona stella, andavo a colpo sicuro, non ne mancavo uno.

Il primo a Cruzilles, dietro Chardonnay, tanto per dire. Guillot-Broux è uno dei domaine bio più antichi di Francia, risalendo agli anni ’50 del secolo scorso. Il vecchio non c’è più, i tre figli mandano avanti una baracca da 100.000 bottiglie l’anno. Un monte di gente va direttamente in cantina, è così che fanno il fatturato. Dunque forza Barosi, resistere. Vent’anni e arrivi.

C’è anche dello sfuso, carissimo. Ne vuoi di buono a un prezzo ragionevole? Vai alla Cave di Estezargues.

Prendo qualche bottiglia di Marc de Bourgogne, un distillato che ha passato tanto di quel tempo in barrique, da non temere il sigaro più pestilenziale.

Chiedo, c’è in giro qualche cremant degno? Il cremant de Bourgogne è il refugium peccatorum degli eccessi di produzione del Maconnais, business in mano alle Caves Cooperatives, le nostre cantine sociali. Mi dà un paio di indirizzi.

Con queste referenze arrivo a Viré al Domaine Sainte-Barbe di Jean-Marie Chaland, un furetto di 30 anni che fa un cremant sans souffre convincente. Domando se le cose marciano. Alza una spalla e fa puh puh con la bocca, uè, marciano, vendo di meno all’estero me di più sul mercato interno. Voi siete il mio primo cliente italiano.

Ma è il sirah che ho in mente. Vienne è a tre ore di furgone. Da lì sulle sponde del Rodano si snoda verso sud la zona del sirah più buono del mondo.

vgassePrima fermata ad Ampuis, sulla Côte Rotie. Cerco Vincent Gasse e lo trovo. La prima cosa che mi dice è qui il vino è caro. Mi fa assaggiare il sirah dai tonnò, 2009. Devo fermarmi un momento. Dieci giorni dopo assaggerò da un tonnò canavesano del sirah 2008 e non troverò gran differenza con quello di Gasse. Il sirah giovane è un vino buono, tannico, vinoso, ma solo con gli anni eventualmente si esprime. E’ un vitigno elastico, che cambia molto col terroir.

In bottiglia è disponibile il 2002 e il 2004. Prendo il 2002 che costa meno, evidentemente non fu una grande annata. Lo berrò qualche sera dopo, trovandolo sottile, complesso e lontano. Insomma senza capirci granché.

Proseguo verso Valence, salto l’Hermitage che mi intimidisce con le sue maison tirate a lucido, e proseguo verso Cornas, zona di sirah più rustico. A Châteaubourg dai Durand constato che non c’è disponibile del Cornas più vecchio del 2008.

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OLYMPUS DIGITAL CAMERA Claudio Rosso si è sposato con Loredana. E’ stata festa grande, dove anche Giovanni si è preso una piomba, giorni dopo mi disse di non avere più la tempra.

Claudio nel suo fare il vino ha tra i suoi riferimenti i francesi. Beviamo a pranzo una bottiglia di Pouilly-Fuissé senza Aoc di un vigneron rebelle che non ricordo e discutiamo la differenza coi suoi bianchi. Sta nei terreni meno grassi, negli impianti fitti, nella latitudine più fredda, l’uva è come costretta a succhiare tutto quello che può, i bianchi non hanno neanche fatto la malolattica, hanno una freschezza maggiore, senti come evolvono nel bicchiere. Qui con l’opulenza di questi terreni devo giocarmela in modo diverso, contare sulla struttura.

A lui chiedo cosa pensa del sirah. Quelli buoni che ho bevuto erano vini voluminosi — sì, ha usato questo termine. Allora mi torna in mente che il sirah più buono che ho bevuto finora è quello di Oddone Prati in Val Bagnario. Dietro quel sirah c’è una signora di cui un giorno voglio parlare.

Fragole e mirtilli

Al Laboratorio di Resistenza Dociaria di Alba ho comprato una confettura extra di fragole che era come la madeleine di Proust. Era fatta dalla Cooperativa Agricola Terranova di Luserna San Giovanni.

Niente su internet, buon segno, mi metto in strada. Trovo il posto a naso. Un uomo mi aspetta sul cancello. Come mai non c’è indicazione, neanche un cartello? L’uomo alza le mani, abbassa la testa e dice va bene così. L’uomo si chiama Giampiero Spadotto.

Parliamo, è il buon incontro.

La cooperativa ha più di trent’anni alle spalle. Figli del ’68. Ci fu allora un certo movimento verso la campagna, il progetto di vivere di poco ma stare senza padroni. Si arrivò a 25 cooperative agricole in Piemonte. Tentativi di consorziarsi. Contabilità in comune. Naufragio per eccesso di riunioni. Poi il mercato e i fallimenti. Valli Unite ha realizzato il progetto d’origine. Terranova? In parte. La vita un bivio dopo l’altro ti trovi che sei senza alternative. Oggi sono un topo di laboratorio. Indica dove si trasforma.

Dodici soci conferitori. Uno dei soci da giugno a settembre va in montagna a raccogliere i mirtilli selvatici. I ramassin molto buoni. Da quest’anno si usano le castagne del posto invece delle garessine.

Inizi molto duri. Molta fatica per remunerarsi 6000 lire l’ora. Quando ci siamo assestati, c’è stata la crisi del ’92. Improvvisamente le vendite calano dell’80%. Sugli scaffali appaiono marmellate confezionate come le nostre ma fatte con la pectina. La pectina contiene dei residui chimici della lavorazione, inoltre ti permette di fare molto più prodotto. Le marmellate tradizionali perdono acqua, con la pectina aggiungi acqua.

La marmellata industriale si fa in boule, che funziona al contrario di una pentola a pressione. Noi facciamo con le stesse pentole di rame a cielo aperto con cui abbiamo iniziato, da 25 chili ciascuna. Sono due. Farebbe differenza se fossero in inox? Nno, però queste sono più difficili da tenere pulite, così siamo costretti ad attenerci maggiormente alle procedure, questo è un bene. Il risultato è un prodotto che più che artigianale, definirei casalingo. Come quello che faceva tua mamma e tua nonna. Stai nella languida catena delle generazioni.

Il laboratorio è pulitissimo. Nell’aria l’odore delle castagne sciroppate. Giampiero non ha intenzione di crescere come attività, fare investimenti in attrezzature. Se fosse la tua vita, lo capirei. Ma quando la tua passione è altrove? Ti passa, la voglia.

Non voglio dire qual è l’altrove di Giampiero Spadotto.

Andiamo in paese. Per strada mi fa segno alle due chiese che si guardano, una valdese e l’altra cattolica. Pranziamo in vera osteria, con vino cattivo come si conviene. Un vecchio mangia da solo al tavolo accanto. Nel pomeriggio parte per Vasto. Va dal figlio, arriva anche la figlia da Londra per le vacanze di Pasqua. Ci racconta la sua storia, una storia di emigrazione e integrazione. La storia comincia così: Mi sun ‘d Benevent.

Calamandrana Rosso

monitoPresto da Giovanni per le ultime gocce del suo Barbera d’Asti 2007, un vino pre-consorzio che meritava lo scaffale per potenza ed eleganza. Assecondo la sua malinconia e parliamo di molte morti, fino a quella di Romano Levi – ieri è passato di là e a distillare c’era un giapponese.

Quando era già malato, una mattina che ero lì mi fa chiamare, cosa rara. Andiamo nel giardino e mi chiede se può scavare una fossa grande senza rovinare gli alberi. Ma per fare cosa? Ah voglio seppellire lì le mie cose, quel divano ci ho tanti ricordi sopra, non voglio che finisca al macero quando me ne vado. Un mese dopo sono a Neive e alzo la testa verso la casa, vedo un gran cumulo di terra, ecco penso, Romano ha fatto il suo scavo.

Ho appuntamento con Claudio Solito alla Viranda, sulla strada che da San Marzano va a Calamandrana. Giovanni mi fa la mappa dettagliata. Quando hai il cimitero a sinistra, giri a destra. Un cimitero che non troverò e mi chiederò se non appartenesse a un’altra mappa, della testa di Giova.

Fu Gianni Doglia a dirmi conosci Claudio Solito, l’accento sulla i. Cose buone e prezzo onesto.

Quello che ho trovato in sintesi. Le vigne organizzate a piccoli cru. Gamma di vitigni, barbera dolcetto freisa nebbiolo cortese, ma anche e soprattutto pinot nero, cabernet sauvignon, chardonnay e sauvignon. Orchestra di vini sfusi e imbottigliati, giovani e invecchiati in barrique, bollicine e chinati e passiti. Tutto in piccole partite.

Perché gli internazionali? Li ho piantati negli anni ’80, avere solo barbera era come impiccarsi al Monito (in foto). Il pinot nero poi mi ha innamorato, uva difficile, vino anarchico, lenta evoluzione dei tannini, risultati imprevisti.

Pinot nero e cabernet sauvignon da lunga macerazione e anni di barrique e poi di bottiglia, borgogna e bordolese sovraesposti sulla potenza, ma buoni buoni.

Rese basse, poca solforosa, niente lieviti aggiunti. Ma non mi mescolo neanche coi vini naturali. Non m’interessa certificarmi biologico, pagare per fare 18 trattamenti di rame in un anno e andare su e giù per i filari col trattore, ma non potere usare il fosfito di potassio, che è accettato dai biodinamici. Di questi ultimi invece a certe cose non ci arrivo, il cornunghia, mm.

Odio i consorzi mangiastipendi. Vorrei la doc comunale, il Calamandrana rosso.

La maturità dell’uva è un aspetto importante per i miei vini. Raccolgo due o tre settimane dopo che i tecnici coi loro strumenti hanno detto che è ora di vendemmiare. Esperienza.

Cosa c’è qua sotto? Marne di Sant’Agata, sostrato calcareo, un tufo di colore carta da zucchero. A differenza di quello di Casale, questo si sfalda se esposto al sole.

Ecco.

Dell’agriturismo riporterò solo il racconto di un commensale. Qualche anno fa mi capitava di lavorare fino a tardi in queste zone e spesso mi fermavo qui per la notte. La sorella di Claudio, Lorella, è cuoca già in pista alle 6 di mattina. E una di quelle mattine la vedo che prepara una quantità di rolatine. Adoro le rolatine e pregusto già la cena. Ma la sera scopro che non ci sono rolatine, solo ravioli. Non so se mi segui, Lorella cucina le rolatine per fare il ripieno dei ravioli!

Novembre pecorino

asciuganoPrimi di novembre, appuntamento con il vino novello in damigiana. Lo fa Giorgio Ferrero a Pino d’Asti da uve freisa. Quest’anno, a evitare la burocrazia del titolo novello, è un vino da tavola. Ma la sostanza — parola chiave 2009/2010 — è sempre quella. Vinificato a macerazione carbonica per esaltare i profumi primari e il colore profondo e brillante. Niente trucchi, niente tagli. Beaujolais, Freisolay.

Giorgio lo fa da vent’anni, ha provato tutte le varianti. Macerazione carbonica vuol dire rovesciare le cassette di uva in un contenitore d’acciaio, saturarlo di anidride carbonica e sigillarlo. Normalmente sta così 10 giorni, Giorgio lo lascia qualche giorno in più. Dentro, qualche acino si rompe e il succo comincia a fermentare creando altra CO2, qualche acino rimane integro e quando lo tiri fuori è gonfio e croccante. Dopo questo periodo, si toglie la massa d’uva e mosto dalla vasca e si pigia normalmente. Molti tolgono presto dalle bucce, Giorgio lascia ancora tre giorni. Quest’anno il suo novello fa 14 gradi.

Gli chiedo chi ha inventato la macerazione carbonica. Boh, sicuramente è nato per caso, qualche francese ha lasciato dell’uva in tino sigillato e poi ha cominciato a ragionare. Giorgio Ferrero è impegnato col PD, pensa che la colpa sia delle banche e la soluzione sia una patrimoniale.

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Edoardo Bresciano è stato tentato dal sindacalismo agricolo, poi considerando con più attenzione il tipo di agricoltore della provincia di Cuneo, ha pensato che meglio fosse farsi gli affari propri, tirare su qualcosa di bello nel suo orto a Savigliano. Ha letto due volte il Dilemma dell’Onnivoro, si è innamorato anche lui di Joel Salatin e ha adottato in modo personale il suo metodo di recinti mobili per pascolare le oche. Ha comprato dei riproduttori e un’incubatrice, vuole crescere i propri animali, sono più grossi e più belli.

Edoardo legge Steiner. Per essere certificato biodinamico dovrebbe frequentare un ciclo di diciannove incontri di tre giorni ciascuno. Ma io lavoro in campagna, come fanno a pensare che possa partecipare a una cosa organizzata così.

Mi piace molto il percorso di Edoardo e per accompagnarlo voglio vendere almeno un quintale di salami d’anatra del Corsaro e di cotechini d’oca, che non ci sono a Eataly.

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A proposito di vini per caso. Sergio Delai aveva in mente un passito dalle uve rosse che si coltivano sul Garda Bresciano, groppello marzemino barbera e sangiovese.

Appassisce a ventilazione forzata, fa una macerazione lunga e mette in barricche. Confida che l’alto grado alcolico blocchi da solo la fermentazione. Ma qualche volta il grado alto non basta. Il suo passito prosegue la fermentazione, consumando più zuccheri. Ottiene un vino inclassificabile, un piccolo amarone spaesato. L’abbiamo chiamato Ron Ama Ron. In questo momento ho una carta dei vini che mi sembra di allenare il Real Madrid.

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Stato a Fornovo, fiera dei vini bio e naturali. Qualche edizione fa era una cosa frequentabile, oggi è una baraonda in cui scambiare due parole è un’impresa. Prezzi alti e solo bottiglie da tre quarti, mi sento un po’ fuori luogo.

Lacerti di discorsi. Il biondo di Ca’ de Noci mi fa assaggiare la sua Spergola rifermentata in bottiglia. La senti questa freschezza acuta, quasi dolorosa. Cambio banchetto.

C’è Pietro del Consorzio, che mi critica perché non mi è piaciuto il Cremant d’Alsace di Binner. E’ ossidato voluto, non bisogna avere tutti questi pregiudizi. M-m.

C’è Barosi, impressionato perché la folla non si divide equamente tra il banchetto del Pommard bio e il suo nebbiolo bio. Poco interesse per il Piemonte, dice. L’ultima volta che sono andato a prendere da lui del dolcetto, l’ottimo Pirochetta, mi ha aperto la cantina un rumeno, la porta di casa una peruviana, mi ha porto la fattura un’americana e sullo sfondo un’italiana faceva le pulizie. Manco in Chianti, ho pensato. Ci sono un mucchio di aziende bio toscane condotte da milanesi.

Mi è piaciuto il contadino di Monteforche, a Vo sui Colli Euganei. Mio nonno andava a prendere il vino a Vo, e oggi il fratello di mia mamma. Ricordo Vo come un posto del cavolo e gli ho chiesto cosa gli piace di Vo. Mi ha detto guarda che i Colli Euganei ti stregano. Non aveva biglietti da visita e neanche bottiglie da vendere. Appena posso vado a trovarlo, e penserò a mio nonno e a mia nonna.

Ma lo squarcio nella mia breve permanenza a Fornovo l’ho avuto pur io. Un uomo di 100 e passa chili pranza di fronte a me, troppo rude all’aspetto per essere un viticultore bio. Lo ritrovo fuori che fuma. Chiedo se è un visitatore. No, sono qui col pecorino. Pecorino da dove? Da Scanno, 100 chilometri a sud dell’Aquila. Terremotati? No, altra faglia. Sto a 1300 metri d’altezza tutto l’anno tranne l’estate. L’estate salgo a 2000. Tengo 1500 pecore, 40 vacche, 40 capre, maiali, conigli, e trenta cani. Trenta cani? Per tenere insieme le pecore? No, per difesa. Difesa da che? Dalle bestie selvagge. Lupi. Linci. Orsi. Anche le bestie selvagge sanno che l’uomo è l’animale più cattivo, e sanno che dove latra un cane, c’è un uomo.

Per tutto il viaggio di ritorno ho sognato l’Abruzzo.